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Ucraina, ecco cosa spinge Putin a sfidare l’Occidente

Pubblichiamo un’analisi di AffarInternazionali

Il viaggio di Matteo Renzi a Mosca è stato reso possibile dall’iniziativa di Angela Merkel. C’è chi si domanda se il presidente del Consiglio avrebbe dovuto essere più duro, o al contrario ancora più concentrato sulla prospettiva degli “affari”. Ma la realtà è che il tracciato della Merkel, stretto, difficile e privo di illusioni, non consentiva deviazioni.

Al termine dell’ultima tornata del “quartetto” il 25 febbraio, Merkel è sbottata in una frase mirabile per incisività e sintesi: vogliamo la sicurezza in Europa con la Russia e non contro la Russia, ma per garantire la pace vanno rispettati i confini.

LA ROAD MAP DI MINSK

A Minsk, Merkel ha preso non pochi rischi. Negoziando per la prima volta in un inedito “quartetto” direttamente con Mosca, ma senza Washington, e per conto di un’Europa visibilmente divisa tra quanti per ragioni storiche e geografiche paventano un’aggressione russa e quanti preferirebbero tornare rapidamente agli affari, accettando magari come male minore un altro “conflitto congelato”, ha portato a casa un risultato minimo, tutto da verificare nel concreto, ma pur sempre un risultato.

Minsk è l’avvio di un processo. A partire dal cessate-il-fuoco, ritiro degli armamenti pesanti dalla linea del fronte, monitoraggio Osce, scambio di prigionieri, statuisce che l’Ucraina riguadagnerà il controllo delle frontiere orientali con la Russia solo dopo aver organizzato elezioni e negoziato uno “statuto speciale” nelle regioni Donetsk e Luhans’k, entro il 2015.

La sequenza è cruciale. Più di una pietra di inciampo è contenuta nella concatenazione dei passi da intraprendere. Anche ipotizzando che i primi passi vengano intrapresi, che il cessate-il-fuoco si faccia strada e che vengano ritirati anche armamenti che Mosca sostiene non siano mai confluiti, rimarrebbe la grande incognita della riforma costituzionale da negoziare tra Kiev e i “separatisti”.

E peraltro, questi passi sono soggetti alla tentazione dei “ribelli” di perseguire una continuità dei territori orientali (con la Crimea) proprio in vista della riforma costituzionale e del controllo dei confini.

Di più. Perché Petro Poroshenko ha in mente una decentralizzazione, e le controparti una federalizzazione che conferirebbe loro un diritto di veto sulle decisioni del centro.

Il meno che si possa dire è che la partita potrebbe avere tempi lunghi, e che occorreranno non pochi interventi del “quartetto” per venirne a capo. E molti dibattiti in Occidente sull’opportunità o meno di ulteriori sanzioni a Mosca, forniture di armamenti a Kiev, rafforzamento dell’apparato difensivo Nato. E difficili negoziati sull’energia, quella diretta a Kiev e quella che transita da Kiev verso l’Europa. Ma non c’è, allo stato, un piano B.

IL FUTURO DI PUTIN

Cosa ha spinto Vladimir Putin a confrontare di nuovo l’Occidente (Georgia, 2008) in modo così clamoroso, pur sapendo che il prezzo da pagare rischiava di accelerare il declino economico del Paese?

Molti pensano che si tratti di una strategia diversiva per distrarre la gente dai problemi della vita quotidiana e rafforzare il proprio potere. Anche. Ma la risposta è più semplice, addirittura banale.

La forza di attrazione dell’Occidente, e in particolare dell’Europa, è ancora altissima presso coloro che guardano da Est. Interloquire con l’Europa significa accettarne regole e valori, che non sono negoziabili perché frutto di una faticosa conquista e di tragiche vicende del passato.

La Russia di Putin ha rinunciato all’idea scaturita dagli accordi di Helsinki di “wider Europe”, che comporterebbe una riedizione epocale, economica e politica, dello Stato, così come all’idea di partecipare alla governance mondiale nel ruolo di gregaria nel consolidamento di valori universali dominati dall’Occidente.

Ha ripiegato verso la logica di Yalta. In altri termini, dividiamoci le sfere di influenza, e separiamo i rispettivi destini. Nulla di più chiaro delle recenti parole del portavoce russo che ne ha esplicitamente evocato il modello, o di quelle dell’ex ministro degli Esteri, Igor Ivanov, che, nel rilanciare l’idea di un ‘nuovo ordine mondiale’, ha richiamato il meccanismo di consultazione Mosca-Washington invalso durante la Guerra Fredda. Ancora più esplicito Putin, al congresso sindacale di Soci: no a un mondo unipolare.

La sfida è dunque il ritorno della Russia allo status di grande potenza. In grado di dettare le regole del gioco come attore co-primario, partecipando a pari merito alla governance mondiale e alla “attualizzazione” del diritto internazionale.

Per anni, non a caso, Mosca ha perseguito all’Onu l’adozione di risoluzioni che sancissero i “valori tradizionali”, quale sostanziale attenuazione dei “valori universali” intesi come concepiti e governati dall’Occidente.

Putin semplicemente non vuole “questo” ordine internazionale. A tali condizioni, è disponibile a collaborare nei teatri di crisi del vicinato, contro il terrorismo, e nelle grandi cause della sicurezza internazionale.

Diversamente, sarà acerrimo concorrente entro e fuori del Continente europeo, a partire dal Mediterraneo, avvalendosi del seggio permanente in Consiglio di Sicurezza e di un potenziale militare certo non indifferente.

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Laura Mirachian, ambasciatore, già Rappresentante permanente presso l’Onu Ginevra.



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