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Unicredit, Intesa, Mps. Chi mugugna per le nuove regole europee in arrivo

Chi l’ha detto che l’Europa è stupida solo per le regole su deficit e debiti pubblici? Anche nel settore finanziario un certo masochismo è ormai latente nel Vecchio Continente. E non solo per gli stress test che hanno sballottato un bel po’ di banche, comprese alcune italiane, come Mps in particolare, imponendo ricapitalizzazioni che finanche in Banca d’Italia non hanno troppo convinto.

Ma in alcuni uffici di istituzioni e organismi europei ci si continua a scervellare escogitando misure che ormai determinano scenari da deriva regolatoria. Beninteso: le premesse sono ovviamente a fin di bene: rafforzare il capitale delle banche per poter concedere più prestiti, regolare le attività per evitare rischi. Ma se si passa dalla teoria alla pratica, gli effetti possono essere devastanti, e opposti a quelli che si dice di voler perseguire.

Per questo più di un banchiere inizia a preoccuparsi, anche in Italia, per i costi diretti e indiretti. E’ il caso ad esempio di un esponente di vertice di uno dei maggiori istituti di credito che in una riunione associativa di settore ha quasi strabuzzato gli occhi quando si è accennato a un recente paper di un organismo chiamato European systemic risk board (Esrb o in italiano Cers, Comitato europeo per il rischio sistemico) che ha pubblicato a fine febbraio un report sul trattamento a fini regolatori dell’esposizione di banche e compagnie assicurative al debito pubblico. Il succo del ponderoso rapporto si concentra sulla eccessiva esposizione delle banche di alcuni Paesi, compresa l’Italia, verso i debiti pubblici. Una indicazione-fissazione che può essere propedeutica a prossimi interventi? Si vedrà.

A Bruxelles, di certo, hanno già da tempo messo nero su bianco regole che destano timori e perplessità. Una nuova forma proposta dalla Commissione si applicherebbe alle banche Ue di importanza sistemica, ovvero le banche che per 3 anni consecutivi hanno superato i 30 miliardi di euro di totale attivo e i 70 miliardi di attività di negoziazione totali (attività e passività): gli istituti coinvolti sarebbero 29.

In Italia la norma si applicherebbe a ben 13 istituti (con attivi superiori ai 30 miliardi): Unicredit, Intesa Sanpaolo, Mediobanca, Mps, Banco Popolare, Ubi, Credem, Popolare di Vicenza, Bpm, Creval, Popolare di Sondrio, Veneto Banca e Carige.

L’Eba avrà il compito di definire le norme tecniche per la definizione delle attività di negoziazione oltre che il potere di estendere i requisiti di separazione di una banca sotto la soglia se vi è una minaccia alla stabilità finanziaria.

A queste banche sarà vietato, o richiesto di scorporare in un’entità separata, questo: l’esercizio del proprietary trading in senso stretto (esercitato «… al solo scopo di lucro per conto proprio e senza alcun collegamento con l’attività presente o anticipata del cliente»); il possesso, la sponsorship o l’esposizione verso hedge fund, o il possesso di azioni in qualsiasi entità che svolge un’attività di trading proprietario o sponsorizza hedge fund. L’Eba dovrà analizzare le attività di negoziazione soprattutto su strumenti complessi come cartolarizzazioni e derivati complessi e intervenire se queste a attività compromettono gli obiettivi della riforma strutturale o rappresentano una minaccia per la stabilità finanziaria della banca o dell’intero sistema finanziario. I titoli sovrani di Stati membri dell’Ue sono esenti dall’obbligo di controllo di vigilanza. (Per ulteriori dettagli si può leggere questo articolo di Formiche.net che prendeva spunto da un approfondimento della federazione Febaf presieduta da Luigi Abete).

Anche nelle recenti audizioni tenute in Parlamento, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sul sistema bancario italiano, le preoccupazioni non sono mancate. Sia nell’audizione del direttore generale di Unicredit, Roberto Nicastro, che in quella del direttore generale dell’Abi, Giovanni Sabatini, dalla questione Tlac ad altre regole in fieri, sono stati diversi gli aspetti affrontati (come si può leggere in questo articolo di Valeria Covato).

I timori sono stati espressi in queste ore anche a dirigenti di spicco del Tesoro, come Alessandro Rivera, in un incontro a porte chiuse organizzato da un istituto di credito. Nel corso del seminario è stato tra l’altro sottolineato come la portata complessiva delle misure regolamentari adottate finora e di quelle attualmente in corso di discussione necessitano di una valutazione attenta da parte del legislatore per le conseguenze inattese sul finanziamento dell’economia reale. Il rischio – è stata la conclusione del seminario – è “che i costi della iper-regolamentazione siano particolarmente penalizzanti per l’economia italiana, in quanto notoriamente incentrata sulla tradizionale intermediazione bancaria”.

Leggi gli ultimi approfondimenti di Formiche.net su banche, banchieri e regole:

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