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Perché gli Usa pensano di non lasciare l’Afghanistan

Articolo estratto dalla Geopolitical weekly del Centro Studi Internazionali

Nella mattina di giovedì 26 febbraio nel quartiere diplomatico di Kabul, un convoglio dell’ambasciata turca incaricato di proteggere l’ambasciatore Ismail Aramaz, Alto Rappresentante Civile della Nato in Afghanistan, è stato coinvolto in un attentato suicida, rivendicato dai talebani, durante il quale sono rimasti uccisi un militare turco e un passante afghano.

Nonostante l’attacco sarebbe frutto di un errore da parte dell’attentatore (che avrebbe scambiato il personale di sicurezza turco per un convoglio delle Forze Armate statunitensi) l’episodio ha messo in luce la capacità della militanza di colpire una zona centrale e sensibile della capitale, quale il quartiere diplomatico. Con il passaggio dalla missione Nato Isaf a Resolute Support e con il conseguente ridispiegamento delle truppe internazionali nel corso dello scorso anno, l’attività della militanza a Kabul si è ulteriormente intensificata, mettendo in discussione l’autonomia delle autorità afghane nel controllo del territorio.

Di fronte al rafforzamento dell’attività e dell’efficacia dell’azione talebana, l’evidente degenerazione dello stato di sicurezza interno aveva già spinto, nei mesi passati, il presidente afghano, Ashraf Ghani, a chiedere agli Stati Uniti di prolungare la presenza delle proprie Forze armate nel Paese. Benché, fino ad ora l’amministrazione Obama abbia sempre prospettato il 2016 come anno per un completo ritiro dei propri contingenti, i dubbi sull’effettiva capacità delle Afghan National Security Forces (Ansf) nel rispondere alla minaccia dell’insorgenza potrebbe ora spingere Washington a prorogare di almeno due anni il ritiro delle 10800 unità ancora impegnate sul territorio.

Una conferma in questa direzione sembrerebbe giungere dallo stesso segretario alla Difesa americano Ashton Carter, il quale, recatosi in visita a Kabul lo scorso 21 febbraio, avrebbe dichiarato la disponibilità della Casa Bianca di riesaminare i propri piani di ripiegamento per continuare a garantire il proprio supporto per la sicurezza del Paese.

Clicca qui per leggere il testo completo sul sito del Cesi



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