Skip to main content

Tutte le sfide che uniscono Italia e Stati Uniti. Parla il console Reeker

Vorrei ringraziare Enrico Marcora e Paolo Messa, per avermi invitato e per aver organizzato questo incontro insieme a Claudio de Albertis “padrone di casa.” Rivolgo un saluto cordiale anche a tutti i presenti. Applaudo il vostro interesse e spirito di responsabilità nel sostenere una iniziativa come questa, in un momento decisivo per le riforme in Italia in un contesto più vasto dei rapporti internazionali.

Sono lieto e onorato di partecipare a questo seminario che dimostra di quali e quante risorse umane e intellettuali disponga l’Italia per affrontare le sfide che ci attendono. E’ un grande onore per me partecipare stasera con la mia amica e collega Marta Dassù.

Voi avete scelto un tema interessante perché vi interrogate sulle coordinate geopolitiche dell’Italia nel mondo, in una fase di grandi cambiamenti. E’ un dato di partenza fondamentale su cui – da “pazienti formiche” – potete costruire il futuro.

Sono arrivato in questa città sei mesi fa come console generale degli Stati Uniti a Milano. [L’anno scorso, ho studiato italiano a Roma per pochi mesi e confesso che mi sembra di aver dimenticato molto di quello che avevo imparato.]

Però, mi ritengo fortunato di essere qui a Milano proprio nel corso della nostra partecipazione all’Expo 2015. Voglio dire che anche per gli Stati Uniti quest’anno è significativo, perché abbiamo l’opportunità di ricordare il 150mo anniversario della presenza del Consolato Generale USA a Milano.

Nel 1865, gli Stati Uniti aprirono il primo consolato a Milano che già allora era una città importante per l’economia e per la sua nascente industria. Oggi, lavoriamo insieme all’Italia in un momento decisivo per la sicurezza e la prosperità dell’Europa.

Il mio compito oggi è di parlarvi del ruolo dell’Italia nel mondo dal punto di vista americano, in un mondo profondamente diverso da quello del 1865, ma anche del 1945 alla fine della Seconda Guerra mondiale o anche del 1989, quando cadde il muro di Berlino. Io stesso ho iniziato la carriera diplomatica nel 1992, l’anno di Maastricht, ma anche di Sarajevo. Questo il contesto.

Se guardiamo agli eventi passati, ci rendiamo conto dell’accelerazione della Storia.

Ma il sistema della nostra sicurezza non è cambiato. Essa dipende, come allora, dal forte e stabile legame tra i nostri Paesi.

Per sette decenni il nostro destino è stato quello di essere alleati e amici in nome di valori e obiettivi comuni che legano l’Europa e l’America, in particolare l’Italia e gli Stati Uniti.

Nel settore militare, gli Stati Uniti contano sull’Italia in molte occasioni: nelle operazioni di coalizione, nell’accesso alle basi militari e nelle operazioni di training che ci vedono impegnati fianco a fianco.

Insieme siamo determinati a mantenere la sicurezza e la pace in un mondo dove ancora oggi non mancano le minacce ai valori che condividiamo.

L’Italia rimane uno dei nostri partner strategicamente più validi e apprezziamo moltissimo il vostro sostegno nell’ambito della difesa, a cominciare dalla missione NATO in Afghanistan per continuare con le missioni internazionali militari e di pace in Libano, in Kosovo, in Irak, altrove.

L’aggressione della Russia in Ucraina ci ha ricordato tuttavia che esistono questioni fondamentali che devono guidare l’eccellente cooperazione strategica tra Europa e Stati Uniti, per la sicurezza globale.

E ci ha anche ricordato che la sicurezza ha un prezzo alto. Il mantenimento delle forze di difesa necessarie ad affrontare le sfide di oggi, si tratti dell’aggressione russa ad Est o dell’instabilità del Nord Africa, richiede un costante investimento militare.

La mia collega sottosegretario di Stato Victoria Nuland ha dichiarato il mese scorso che il legame transatlantico e i venticinque anni di lavoro insieme per costituire “un’Europa unita, libera e in pace” sono messi alla prova dall’aggressione russa in Ucraina. Però, ha contribuito ad accrescere l’unità tra alleati e a ribadire la nostra determinazione.

Nuland l’ha definito un “Rinascimento Transatlantico” per garantire la democrazia, la libertà, la pace e la sicurezza collettiva, la tolleranza e la prosperità da Vancouver a Vladivostok.

Veramente abbiamo assistito ad una “Transatlantic Renaissance,” un rinnovato impegno nell’importante relazione tra gli Stati Uniti e l’Italia.

Come ha dichiarato l’anno scorso il segretario di Stato John Kerry: “L’Italia è uno degli alleati più importanti degli Stati Uniti. Penso che possiamo dire con certezza che la nostra alleanza non è mai stata così forte come in questo momento.”

Oggi i paesi NATO godono di una migliore difesa e le truppe sono dispiegate nei Paesi Baltici, Polonia, Bulgaria e Romania. I bilanci per la spesa militare sono aumentati e stiamo incrementando la nostra capacità di reazione rapida.

Vi è una maggiore sicurezza energetica sia negli Stati Uniti che in Europa, grazie soprattutto ai nuovi gasdotti e terminal offshore di gas che riducono la dipendenza dei Paesi europei verso un unico fornitore di gas.

Ma la nostra forte relazione non è solo basata su considerazioni strategiche e militari, ma è principalmente riconducibile a ragioni economiche, commerciali e culturali.

Inoltre l’economia statunitense è in ripresa e i Paesi europei stanno adottando politiche volte a stimolare la crescita e gli investimenti.

Stiamo lavorando con grande impegno ad un accordo di libero scambio tra Stati Uniti e Unione Europea. L’Italia può condurci sulla soglia di questa importante svolta.

L’Europa è il nostro più grande partner per gli scambi commerciali e per gli investimenti. Le relazioni transatlantiche sostengono un trilione di dollari di scambio annuale e quattro trilioni di dollari di investimenti.

Per noi la scelta di mettere al centro dell’attenzione dell’Expo il tema della sicurezza alimentare e della sua sostenibilità è molto importante: dimostra che questi sono temi di grande attualità e che necessitano di urgenti soluzioni in modo da prevenire lo scaturire di ulteriori problematiche che spesso oltrepassano i confini degli Stati.

Un mondo più sicuro dal punto di vista alimentare, nutrito e autosufficiente, è essenziale per la prosperità a lungo termine delle persone, delle comunità, delle economie e delle nazioni e nel promuovere la stabilità globale.

Per gli Stati Uniti, Expo è un opportunità importante che noi apprezziamo per illustrare il nostro impegno a sfamare una popolazione di nove miliardi di persone entro il 2050, grazie al ruolo svolto dalle innovazioni tecnologiche, creando una piattaforma per ampie e profonde discussioni su tematiche fondamentali per il nostro futuro.
Veniamo più da vicino al vostro Paese. L’Italia è una democrazia matura con una Costituzione che l’attuale governo sta riformando in alcune parti ma che presenta un solido impianto nella definizione dei principi fondamentali e dei diritti e dei doveri del cittadino.

La collocazione dell’Italia nell’Europa e nel Mediterraneo fa sì che il Vostro Paese sia sempre più visto come un collegamento fra le democrazie del Nord e i fermenti delle nazioni del Nord Africa del Mediterraneo.

Il Mediterraneo è un mare simile ad un grande lago dove l’eco di ogni crisi si ripercuote in tutta l’area.

L’eco delle rivendicazioni dei diritti in Libia, in Egitto, in Algeria e Tunisia (la “primavera araba”) arrivava sino a qui. Bastava leggere i vostri giornali per capire che tali fatti erano percepiti come domestici. Direi, sembra quasi più politica interna che politica estera.

Nel quadro delle relazioni internazionali – come la professoressa Dassù sa molto bene – nel mondo globalizzato di oggi, i dati della politica interna si confondono con gli impegni della politica estera.

Ecco dunque una prima coordinata geopolitica: il bacino del Mediterraneo.

Un Paese ben governato con un’economia dinamica e i conti in ordine è in grado di far fronte alle sfide della politica estera e di dare il proprio contributo alla soluzione dei nodi internazionali, a partire dal Mediterraneo.

Tutti gli osservatori sono concordi nel dare una positiva valutazione della performance della politica estera italiana nell’arco del 2014, soprattutto riguardo alle missioni di pace nel mondo e al ruolo nella NATO.

Ecco la seconda coordinata geopolitica: la fedeltà all’alleanza transatlantica.

Se è vero che l’economia americana ha sempre funzionato da locomotiva per i prodotti europei e italiani, i prossimi anni dovrebbero essere segnati dalla ripresa.

Il Transatlantic Trade and Investment Partnership (anche TTIP) aiuterà ulteriormente ad allargare e ad approfondire i nostri legami commerciali e d’investimento, incrementando la crescita e creando altri posti di lavoro oltre ai 13 milioni di posti americani e europei che già esistono grazie agli scambi commerciali esistenti. Le relazioni commerciali Italia-USA sono forti e interdipendenti.

L’America ha bisogno di un’Europa economicamente forte come pure l’Europa ha bisogno di una forte economia statunitense.

Il futuro ha bisogno del libero commercio. I protezionismi appartengono al passato, quando le guerre erano commerciali.

Ecco la terza coordinata geopolitica: il commercio transatlantico e le esportazioni italiane nel mondo.

I nostri solidi legami militari e commerciali, e gli obiettivi che condividiamo, contribuiscono anche alla partnership tra gli Stati Uniti e l’Italia come due Paesi del G-7 e G-20, che hanno ruoli guida nel confrontarsi con le sfide internazionali come il terrorismo, le epidemie, il cambiamento climatico, l’ineguaglianza, la povertà e la fame.

Le correnti migratorie attraversano tutti i continenti e niente può fermarle. Si tenta di distinguere fra immigrati in cerca di lavoro e rifugiati politici.

I conflitti e la fame nel mondo che costringono intere popolazioni a trasmigrare in presenza di carestie atroci, sono ancora problemi gravi che affliggono il terzo mondo.

Ecco una quarta coordinata geopolitica: le istituzioni internazionali, inclusi gli obiettivi di sviluppo delle Nazioni Unite per il post-2015.

Per concludere: nelle settimane scorse il giornale Repubblica ha pubblicato un’intera pagina per ricordare i 70 anni dalla conferenza di Yalta. Un intelligente giornalista come Lucio Caracciolo ha provato a ipotizzare una “Yalta bis” per arrivare alla conclusione che oggi non sarebbe riproponibile. Allora i “grandi” erano tre: Regno Unito, Stati Uniti e Unione Sovietica (Churchill, Roosevelt e Stalin). Oggi la platea dei “grandi” sarebbe molto più numerosa. Infatti, gli incontri di gruppo G-20 vedono sempre la presenza di 25 leader.

Il mondo si è complicato. Nuovi attori sono venuti alla ribalta. Non tutti sono Stati. La sfida è di mantenere le condizioni della pace e della stabilità per uno sviluppo sempre più equo. L’alleanza e l’amicizia fra i nostri Paesi possono essere un chiaro punto di riferimento, una delle coordinate della nostra azione.


CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter