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Ventimila leghe sotto i mari: nel cuore dell’Idra finanziaria

Forse a qualcuno suonerà pretenzioso questo far letteratura di prosaiche aritmetiche. Questo ammiccare verso un comune immaginario popolato di memorie affatto afferenti al discorrere economico, che si vuole avulso dalle passioni del racconto, concentrato com’è sul freddo calcolo che esclude il cuore dai suoi esiti. Anzi dall’unico esito del calcolo economico: far montagne di denaro.

Però com’è possibile, mi chiedo, non scomodare un Arpagone, o un Re Mida, di fronte a un pensiero fisso talmente ottundente da aver invaso come una pestilenza il nostro sentire economico? Il massimo profitto, la massima utilità, la massima soddisfazione. Pure a costo di rovinare la trama della società, come di fatto sta accadendo.

Mi scuserete perciò se ho pensato all’Idra, dovendo discorrere di mercati FICC, ossia quelli che contrattano obbligazioni, valute e materie prime. Quale migliore rappresentazione di un mostro mitologico con molte teste, cattivo come solo può esserlo un mostro simile, può servire a rappresentare la realtà di questi mercati?

Qui ogni giorno cifre insensate si muovono a profondità abissali alla velocità della luce determinando in superficie le increspature sulle quali navighiamo noi, piccoli viandanti marini, del tutto ignari degli sconvolgimenti che quaggiù agitano la bestia. Per nulla edotti circa il suo cuore di tenebra.

Ormai al termine del mio viaggio, spendo le mie ultime forze per provare a tratteggiarvelo, questo cuore, che come un motore gigantesco, pompa fredde correnti di liquidità verso ogni dove, eternamente affamato e mai sazio, ormai drogato dalla generosità dei creatori di fiat money. Un cuore malato mi sembra: potente ma fragile come quello di un organismo cresciuto fuori misura.

“I mercati FICC sono il cuore di ogni aspetto dell’economia globale”, scrive la BoE (“How fair and effective are the fixed income, foreign exchange and commodities markets? Consultant document, ottobre 2014) . E il fatto che pure la BoE parli di cuore (“FICC markets lie at the heart of every aspect…”) mi fa credere di non essere poi così lontano dal vero.

Abbiamo visto come siano cambiati i mercati in questi ultimi tempi e quali problemi ciò abbia provocato o possa provocare. Qui vorrei provare a spiegare semplicemente come funzionano.

La BoE ci ricorda molto opportunamente che i mercati sono molto diversi fra loro: il mercato valutario vende monete, quello delle commodities metalli, ad esempio, e tuttavia condividono alcune caratteristiche comuni.

La prima è che tali mercati “tendono ad essere dominati da grandi controparti professionali che spesso agiscono per conti degli utenti finali o degli investitori”. E’ facile indovinare chi siano queste controparti professionali. Meno intuitiva è la constazione che, proprio in ragione della professionalità che esprimono, costoro godono di una conoscenza sui prodotti che smerciano assai più profonda di quella dei destinatari e quindi sono in endemico conflitto di interessi.

La seconda caratteristica comune è che una parte relativamente ampia degli asset che smerciano sono disegnati sulla base delle esigenze dei prenditori o degli investitori, anche se esistono prodotti standardizzati. Pensate alla differenza fra un derivato OTC e un bond governativo, per intenderci. In sostanza “gli asset dei mercati FICC sono inusualmente eterogenei”.

Terzo: il trading sui mercati FICC è usualmente basato su intermediari conosciuti come market maker, spesso correlati alle stesse controparti professionali. e tale modello è stato messo in discussione già all’indomani dell’emergere della crisi finanziaria.

Il perché è presto detto. Il modello del market maker è basato da decenni su scambi bilaterali over the counter piuttosto che su scambi multilaterali organizzati. Ciò consente al market maker di immagazzinare gli asset nel suo bilancio (cd wharehousing risk) e quindi garantire il funzionamento del meccanismo domanda/offerta lucrando sugli spread. In sostanza ciò consente di mantenere liquidi gli asset. Il compenso del market maker serve a bilanciare il rischio derivante dall’immobilizzare risorse, di solito proprie o prese a debito, con la pratica del wharehousing o dell’inventory asset.

Tale pratica porta con sé evidente vantaggi per i market maker. Poiché, letteralmente, fanno il mercato, ossia contribuiscono al meccanismo della formazione del prezzi degli asset, sono esposti costantemente al conflitto di interessi. In più le informazioni privilegiate che collazionano svolgendo tale funzione li mette nella condizione ideale qualora vogliano manipolare i prezzi. Abbiamo già visto come tale modello si sia evoluto negli ultimi tempi.

Se andiamo a vedere cosa accade nei singoli mercati, scopriamo altre informazioni assai interessanti.

Nel mercato valutario, ad esempio, è in atto una profonda concentrazione. Ad aprile 2014 si stimava che appena sei compagnie gestissero il 61% del turnover valutario complessivo nel mercato inglese.

Il mercato obbligazionario (fixed income) è uno dei più vitali per il buon funzionamento del mondo, visto che il debito dei paesi del G7 da solo è arrivato a 30 trilioni di dollari e deve essere gestito. Che significa organizzare e finalizzare emissioni. Ma non solo. Questo mercato serve anche a fornire i collaterali per le operazioni Repo, che a giugno 2014, nella sola Europa, ammontavano a 5,8 trilioni di dollari. In questo mercato vengono svolte anche le transazioni sui derivati, ben 577 trilioni di valore nozionale nel 2013, con oltre il 50% del mercato residente a Londra.

All’interno del mercato a reddito fisso ci sono anche le transazioni che riguardano banche e imprese, cd fixed income credit, asset quindi contruiti per finanziare a breve e lungo termine queste entità. Carta, quindi, di diversa natura: dalla commercial paper, ai certificati di deposito, cui sono collegati anche i prestiti interbancari (unsecured loans) e che servono come benchmark per il calcolo del Libor, ossia del tasso di riferimento per alcune operazioni . Si calcola che il turnover di tali transazioni, a maggio 2014, fosse di 45 miliardi di sterline per i prestiti non assicurati e di 90 miliardi per quelli assicurati.

Il mercato delle commodity determina fra le altre cose il prezzo di ciò che mangiamo e dell’energia. Si basa notevolmente su contratti derivati, per lo più OTC, e trova nella piazza londinese un gentilissimo ospite, visto che qui si basa un volume enorme di queste transazioni. La circostanza stessa che queste contrattazioni siano OTC, nota la BoE, provoca che gli intermediari che partecipano al mercato, che hanno anche interessi nei mercati fisici che tali transazioni finanziarie sussumono, abbiano grandi vantaggi rispetto a quelli che semplicemente lavorano sulle transazioni finanziarie.

Insomma: anche qui i conflitti di interesse fioccano. E infatti, nota la BoE, una recente trend emerso in questi anni è quello che vede l’intreccio incestuoso fra le grandi banche di investimento, che lavorano su queste transazioni finanziarie, e le compagnie che operano sui mercati fisici. Le teste dell’Idra quaggiù si danno un gran daffare, evidentemente, sempre in nome del massimo profitto.

A fronte di tanto attivismo, leggo con divertito stupore che fino a tempi recenti i mercati FICC non erano coperti da nessun tipo di regolazione finanziaria “riflettendo la percezione le le controparti professionali potessero prendersi cura di sé stesse”, scrive senza ombra di ironia la BoE. E di sisuro lo hanno fatto.

La regolazione ha riguardato i mercati organizzati, quindi le borse, ma le trattative OTC sono rimaste nella discrezionalità degli operatori, evidentemente capacissimi di badare a se stessi. Si è arrivati all’elaborazione di alcune normative, ma si tratta di invenzioni recenti. Per decenni l’Idra ha vissuto alimentandosi senza disturbi e ciò spiega perché sia cresciuta così tanto.

Oggi che la minaccia della regolazione si fa più stringente, la bestia si agita vistosamente. Nelle orecchie adesso mi risuonano gli allarmi sui rischi dell’eccessiva regolazione, che potrebbe strozzare l’Idra, dimenticando quanto si sia dimostrata resiliente in questi anni. E soprattutto gli allarmi sulla liquidità, che diventa sempre più sottile malgrado sia sempre più abbondante.

Il paradosso della liquidità è ciò che più di tutto spaventa l’Idra. Il suo cuore di tenebra smetterebbe di battere in un tempo brevissimo se improvvisamente la liquidità smettesse di circolare. Il mondo ricorda ancora cosa accadde nell’autunno del 2008. E oggi, secondo quanto riporta la BoE, i partecipanti al mercato, sentiti in occasione del documento di consultazione che ho sommarizzato qui, hanno riportato che in alcuni mercati FICC la liquidità è assai più bassa di quanto non fosse prima della crisi.

Insomma, in qualche ventricolo nascosto del suo cuore, l’Idra sta covando l’infarto che potrebbe schiantarla. Ma non chiedetemi quale. Ne riparleremo più avanti.

Stanco come sono mi resta solo l’energia per tornare a galla.

Sempre che il mostro me ne lasci il tempo.

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