Ed eccomi qua a raccontarvi dell’esperienza che ho vissuto a Berlino con SMAU la fiera delle eccellenze innovative “made in Italy” come si legge sul sito ufficiale.
All’evento, ospitato al Palazzo Italia in Unter den Linden, nome molto poetico che significa “sotto i tigli”, una delle strade principali della città, hanno partecipato 50 startup innovative provenienti da differenti regioni italiane: Emilia Romagna, Toscana, Piemonte, Lombardia, Campania e Calabria.
In una sala adiacente allo spazio delle esposizioni si sono tenute le presentazioni di tutte le imprese presenti: 3 minuti a testa, con cronometro digitale a fare il countdown in lingua inglese per poter raggiungere anche gli ospiti tedeschi. Poi delle sezioni di discussione su temi specifici. La prima a cui ho assistito titolava Investing in startups in Italy with an European perspective e la seconda Investing in startups in Germany with an European Perspective.
Due incontri dedicati al fare impresa oltre i confini nazionali. Gli ospiti raccontano delle difficoltà che si incontrano in Italia nel cercare di creare imprese innovative. Uno dei problemi, spiega Giovanni Cucchiarato avvocato e co-fondatore di Italens, è la struttura produttiva italiana, basata su piccole e piccolissime imprese a gestione familiare basate su un modello produttivo manifatturiero, oltre alla complessità della burocrazia e alla lentezza con cui la giustizia agisce. Secondo altri ospiti, tra cui il CEO e co-fondatore di Symbid, Marco Bicocchi Pichi, il problema è l’assenza di un mercato comune reale a causa dell’esistenza di sistemi fiscali variegati e di un controllo eccessivo sulla circolazione dei capitali.
Nell’ambito delle startup non ho una conoscenza molto approfondita, ma il mercato comune esiste e certo, per le imprese sarebbe molto meglio avere un mercato estremamente libero, ma le regole servono e anche il controllo. Il mondo delle startup è soggetto ad un elevato rischio e si caratterizza per un tasso di sopravvivenza di queste, dopo il cosiddetto periodo di incubazione, molto basso. Giusto l’anno scorso Mariana Mazzucato, docente di economia dell’innovazione all’Università del Sussex era intervenuta nel dibattito pubblico chiedendo di “sfatare il mito delle startup” perché ce ne sono troppe, e che il 90% di quelle che cercano di farsi un posto nel mercato falliscono appena dopo due anni.
Se è vero che il settore delle startup innovative è molto fluttuante e caratterizzato da volatilità ed elevatissimo rischio, è anche vero che queste esprimono ingegno, creatività, voglia di fare e spirito imprenditoriale di schumpeteriana memoria. Queste idee, che diventano impresa, rappresentano il capitale innovativo, economico e umano su cui l’Italia dovrebbe investire con maggiore costanza e determinazione.
La ricerca e lo sviluppo, in un mondo a fortissimo grado di sviluppo tecnologico, sono settori strategici. Dopotutto, credo, il rischio sta anche lì: come fa una impresa altamente tecnologica, che si focalizza su uno specifico prodotto ad altissimo livello tecnologico ad essere reattiva rispetto alle sempre più rapide trasformazioni sociali, scoperte scientifiche e tecnologiche? Due anni, nel mondo delle tecnologie è un’eternità.
Ho cercato di riassumere un po’ quello che ho visto e vissuto in questa bella esperienza. Ho cercato di mettere in evidenza i lati positivi e quelli negativi per poter dare a chi è interessato qualche spunto di riflessione. Per quanto mi riguarda devo dire di aver vissuto una splendida esperienza: ho appreso molto su un mondo che conoscevo poco e ho adesso ancora più voglia di informarmi. Vedere così tanti talenti, giovani o meno giovani, disposti a mettersi in gioco è stato bello. E vedere la presenza delle istituzioni, le regioni, ancora di più. C’è chi crede nel futuro e vuole investire.
La politica, ad ogni livello, deve interessarsi di queste storie e fare in modo che il loro sforzo non cada nel vuoto. Impegno!
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