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Vi spiego perché Rai Way può essere alternativa alla rete di Telecom

L’Opas su Rai Way si muove su un piano solido, dal punto di vista sia economico che finanziario per quanto riguarda il business delle torri di trasmissione televisiva. Le sinergie con Ei Tower ci sono, tanto è vero che la scelta di un operatore unico è stata adottata in altri Paesi come Francia (Tdf) e Gran Bretagna (Arqiva), ma anche in Alto Adige, sotto l’egida della Provincia.

Il punto cruciale è che Rai Way, molto più di Ei Tower, è una vera e propria rete di telecomunicazioni, pensata e costruita come tale e non solo come un sistema di trasmissione e diffusione circolare del segnale televisivo. Non è un caso che le sedi regionali della Rai ne rappresentino veri e propri nodi di rete, circostanza del tutto ignorata da chi vuole chiuderle pensando che si tratti di edifici qualsiasi.

Rai Way rappresenta una rete tendenzialmente alternativa a quella di Telecom, basata già sulla capacità trasmissiva a larghissima banda wireless, sempre più integrabile con le reti degli operatori mobili che sono i veri motori della innovazione digitale. C’è questo fenomeno, l’integrazione televisiva tra grandi e piccoli schermi: si assiste alla evoluzione della fruizione televisiva dalla postazione fissa a quella nomadica su piccolo schermo. Sempre più spesso si guardano film e partite televisive su tablet e smartphone: tra l’altro, sono venduti per categorie correlate alla dimensione dello schermo in pollici, come i televisori. La soluzione del Dvb-h, la televisione digitale sul telefonino, ha visto pioniera l’Italia ma è stata abbandonata perché allora gli schermi dei telefonini erano troppo piccoli, e soprattutto per la ostilità degli operatori televisivi, che non accettavano di perdere a favore degli operatori mobili il contatto commerciale diretto con il “loro” cliente.

In Italia, la realizzazione di una rete fissa a banda ultra-larga strutturata per la distribuzione del segnale video, come se fosse una moderna televisione via cavo che mette a disposizione in tempo reale i contenuti della “lunga coda”, potrebbe rottamare gran parte degli investimenti fatti dagli operatori televisivi per realizzare le prprie reti digitali, terrestri e da satellite, e da quelli mobili che stanno investendo sulla banda ultra-larga mobile. L’investimento finanziario va letto in funzione di un posizionamento di mercato: una offerta televisiva teoricamente illimitata, che passerebbe sulla rete fissa a fibra ottica, spiazza quella tradizionale. Soprattutto quella dei piccoli editori.

La rete fissa a banda ultra-larga rappresenta una evoluzione sistemica: come Internet, apre le porte a nuovi modelli di business. E’ ben noto il caso di Google, che non paga tasse sulla pubblicità raccolta in Italia. Non è un tema da poco, perché ne va di mezzo la struttura del mercato: le persone che usano internet leggono i contenuti editoriali gratuitamente, perché pagano solo la connessione agli operatori di rete. Google, che si limita ad indicizzare quei contenuti per renderli disponibili su internet, guadagna con la pubblicità che dipende dallo sterminato numero di contatti che rende disponibile. Gli editori perdono lettori e proventi pubblicitari. Un gioco al collasso per gli operatori di rete e per gli editori: guadagnano solo i soggetti “over the top”.

A questo punto, quando si parla di rete fissa a banda ultra-larga bisogna capire bene chi paga, per fare che cosa, e dove vanno i soldi. Non solo quelli degli investimenti nelle reti, ma soprattutto quelli dei servizi che saranno offerti. Non basta: ci sono le implicazioni sulle reti televisive, digitali terrestri e via satellite, appena realizzate con i capitali dagli editori televisivi. C’è infine l’impatto sulle reti a banda ultra-larga degli operatori mobili. Bisogna decidere se e quante tasse i servizi di televisione su Ip saranno pagate e se contribuiranno al rimborso degli investimenti necessari per realizzarla.

I veri paradisi fiscali non sono né la Svizzera, né il Lichtenstein, ma le architetture del mercato dei media che drenano risorse a favore di un oligopolio tributariamente inafferrabile. Siamo al paradosso: si realizzerebbe una rete a banda ultra-larga con soldi pubblici, che rottama investimenti privati nel settore televisivo, su cui si pagano le tasse in Italia. Tutto questo, al solo fine di rendere profittevoli servizi da parte di altri soggetti che non investono e neppure pagano tasse. Kazzenger!



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