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Xylella Fastidiosa, cos’è e cosa succede nel Salento

Migliaia in piazza a Lecce per gridare a bassa voce una nuova coscienza di popolo. Quello che si risveglia dal torpore lento dei muretti a secco e marcia unito, svegliato di botto da un’emergenza.

Termine che di per sé fa temere non poco, in questo Paese, poiché abusato negli ultimi anni e trait d’union di eventi tra loro distanti per contenuto e portata ma accomunati da decisioni ad horas, in capo a uno o a pochi, per lo più insindacabili. E fiumi di denari.

La sindrome emergenziale ha portato Salento e Puglia per le strade, nella domenica delle Palme, per difendere l’identità di un territorio e di una buona fetta della sua economia, dall’attacco della Xylella Fastidiosa, il flagello che rischia di decimare migliaia di ulivi secolari, scoppiato sul fronte mediatico come un bubbone negli ultimi mesi, ma ventilato come minaccia per la sanità delle piante già nel 2010. Una difesa a oltranza soprattutto, dalle forme drastiche d’intervento prospettate dal commissario straordinario per l’emergenza, Giuseppe Silletti, con buona pace di Regione Puglia e Ue.

Eradicazione, seguendo una precisa mappatura che definisce tre aree differenti, in ordine di gravità,per lo più  in provincia di Lecce. Senza appello.

Tra realtà e panzane, la vicenda pare tanto più complessa quanto più monta il polverone delle  voci, troppe, col rischio di generare il chiasso necessario a confondere le idee.

Informazione, corretta e puntuale, in parallelo all’attività della magistratura – la Procura di Lecce ha aperto un fascicolo a carico di ignoti per poi schiantarsi contro un muro di paradossi –, dosate nella giusta misura, sono il passepartout per districarsi in un dedalo di congetture, ipotesi, storie e storiacce. Intanto, in queste ore, due operazioni di eradicazione sono state bloccate e posticipate, grazie al ricorso presentato al Tar di Lecce dai proprietari terrieri interessati. Un caso che rafforza il fronte del no e costituisce un precedente in una vicenda senza precedenti.

Un passo indietro è necessario, partendo da una realtà triste ed evidente:  il rischio per la salute del mare verde di Puglia è acclarato, va combattuto e contenuto. Sul metodo, si può ancora ragionare. Forse.

Laddove si estendevano rigogliose piante millenarie, lucenti al sole, capita d’imbattersi da qualche tempo in distese di un autunno imperituro. Il verde ha lasciato il posto al colore della ruggine, la vita sembra essere minacciata e mangiata man mano, scandita da una clessidra in cui il tempo scorre troppo in fretta. Ed è un dato. Che è anche una sigla: Co.di.R.O.: Complesso Disseccamento Rapido dell’Olivo. Le cause potrebbero essere molteplici.

La principale viene individuata nella Xylella Fastidiosa –  e il nome la dice lunga – un batterio di cui mai si era sentito parlare finora in Puglia, di cui esistono quattro diversi ceppi in tutto il mondo, che penetra nella pianta, la uccide in fretta e si propaga attorno attraverso un insetto-vettore, la cicala sputacchina.

Era il 2013 quando i primi olivicoltori della fascia sud del Salento e del versante jonico si accorsero che i signori della terra stavano morendo, rinsecchiti e spenti. L’sos fu lanciato in tempi rapidi, si giunse a una conclusione: a minacciare il futuro dei giganti verdi c’erano diverse componenti tra cui un fungo (Phaeoacremonium), un lepidottero (Zeuzera pyrina) e un batterio (Xylella Fastidiosa).

Un’improvvisa virata, portò le autorità competenti a focalizzare l’attenzione solo sul fastidioso batterio. Sulle concause, che pure c’erano e ci sono, calò il silenzio. E questo resta un altro nodo da sciogliere, nell’intricata matassa che avvolge la California del sud Italia.

Dello sgradito ospite degli ulivi – altro dettaglio, altro dato – parla il rapporto sui crimini agroalimentari in Italia, curato da Coldiretti ed Eurispes. “Nel 2013 – si legge nel report – esperti e scienziati scelti dalla Regione Puglia per occuparsi dell’allarme Xylella, nel mentre dichiarano la gravità della vicenda e la difficoltà nel gestirla, tengono ad affermare che mai il territorio salentino aveva conosciuto la Xylella prima del 2013. E qui c’è una prima contraddizione: uno degli esperti ammette invece che il fenomeno del disseccamento rapido degli ulivi era comparso per la prima volta su una decina di ettari, almeno nel 2011”.

Una data che fa riflettere, se collegata all’evento svoltosi a Valenzano (Ba), all’interno dell’Istituto di Studi Agronomici Mediterranei, nell’ottobre 2010: un workshop sulla Xylella. “Il rischio fitosanitario di una sua introduzione attraverso materiale vegetale infetto – le motivazioni del workshop – impone misure restrittive di importazione da paesi a rischio e formazione di operatori in grado di eseguire una diagnosi rapida e accurata”. A Bari il batterio è presente, spiegheranno gli organizzatori dell’evento di portata mondiale, viene studiato e si procederà poi alla distruzione dei campioni-studio presenti.

Ma sono stati davvero distrutti? E come? Perché poco dopo è esploso il fenomeno Xylella, non già su territorio barese ma più a sud, nel Salento? Ci sono legami con l’evento ospitato dallo Iam? Il report sulle agromafie solleva inquietanti interrogativi.

Domande che necessitano di risposte chiare e incontrovertibili ma la magistratura incontra il paradosso per cui lo Iam è un pianeta a sé, protetto da immunità giurisdizionale che non consente di acquisire carte e spulciare tra gli scaffali. È un organismo internazionale, pur incastonato nel cuore della Puglia in cui agisce e opera, ma è tutelato  dalla legge 159 del 2000.

Nel guazzabuglio di fatti, dati certi e ipotesi complottistiche, spunta anche il nome di una multinazionale statunitense dei prodotti transgenici, la Monsanto. La stessa che nel 2008, acquistò Alellyx – anagramma di Xylella -, società che studiava i fenomeni di propagazione e reazione della Xylella in Brasile, paese da cui alcune tesi in campo portano a pensare sia stato a bella posta importato il batterio.

Vicenda complessa, si diceva all’inizio, per incastri, connessioni o semplici coincidenze si vedrà.

Restano l’emergenza, i rami secchi e un’indagine difficile. Sono fatti.

Gli ulivi non si potevano toccare, patrimonio d’inestimabile valore, nemmeno per essere eradicati e trapiantati altrove dagli stessi proprietari. Che oggi rischiano invece di vederli  “unti” e poi strappati alla terra, prima di capire davvero cosa stia accadendo.

Dal 2011 sono passati 4 anni. Il rumore dell’emergenza è scoppiato da pochi mesi. Troppo silenzio, troppo a lungo.

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