È cominciata l’offensiva dell’Arabia saudita nello Yemen. Circa 100 aerei di guerra e 150mila soldati hanno cominciato ieri l’attacco militare contro il movimento sciita houthi. La coalizione di 10 Paesi arabi ha accolto la richiesta di aiuto del presidente yemenita Abdrabbo Mansur Hadi.
Secondo la tv degli Emirati arabi Al Arabiya, in questa operazione militare partecipano aerei degli Emirati arabi, Kuwait, Bahrein, Qatar, Giordania, Marocco, Egitto e Pakistan. Gli ultimi due hanno anche posizionato forze navali. L’emittente sostiene che gli Stati Uniti sta offrendo appoggio logistico e di intelligence. Il motivo? In un articolo pubblicato oggi sul Sole 24 Ore, Alberto Negri spiega che il movimento houthi si è “impadronito della più importante base americana (nello Yemen, ndr) mettendo le mani su aiuti militari per 500 milioni di dollari con cui gli Stati Uniti avevano inutilmente foraggiato l’esercito di Sanaa”.
COVO DI QAEDISTI
La crisi nello Yemen non è cominciata da poco. Quando nel 2009 gli houthi hanno iniziato la rivolta, la comunità internazionale si occupava di altro. “Nessuno si chiedeva cosa volessero gli houthi e il defenestrato generale Petraeus, allora comandante del Centcom – aggiunge Negri-. Cominciò con i droni la battaglia contro Al Qaeda informandoci che qui c’erano più qaedisti che in Afghanistan e nel Waziristan pakistano”.
SOSTEGNO ARABO
In una conferenza stampa a Washington, l’ambasciatore saudita Adel al-Jubeir ha detto che gli alleati arabi e altri Stati si sono aggiunti alla campagna militare di Riad in un tentativo di “proteggere e difendere il legittimo governo del presidente dello Yemen, Abd-Rabbu Mansour Hadi”. Jubeir non ha voluto dire dove si trova Hadi, fuggito ieri dalla città di Aden.
GUERRA CON L’IRAN?
L’attacco militare contro i ribelli di houthi potrebbe diventare una guerra indiretta tra l’Iran, che sostiene i sciiti houthi, e l’Arabia saudita e le monarchie sunnite che sostengono Hadi. “Faremmo tutto il necessario per impedire che cada il governo legittimo dello Yemen”, ha detto l’ambasciatore Jubeir.