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Tutto quello che manca al Jobs Act di Renzi

Finalmente  l’8 aprile l’atteso decreto attuativo della Legge 183, art 1 comma 8,9 di Tutela e conciliazione delle esigenze di cura, vita, lavoro (…) portante il n.157, in lavorazione nelle commissioni competenti per materia e finanziari (lavoro e bilancio), è arrivato. E’ bene specificarlo: è stato più volte modificato rispetto al testo originario del dicembre 2014 e secondo la legge di procedura è da approvare entro l’8 maggio.

Ma il testo in lavorazione oggi ha stralciato parti consistenti e contiene  parzialmente l’attuazione dell’articolo 1 comma 8/9 LD 183/2014 , intervenendo  solo sull’attuazione di cui alla lettera a, b, c, d, g, h, l e tralasciando le lettere c, e, f, i e, dunque, non mette mano a promesse come la tax credit, facoltà di cessione dei giorni aggiuntivi per ferie, l’integrazione dell’offerta di servizi per le cure parentali forniti dalle aziende e dai fondi o enti bilaterali nel sistema pubblico-privato dei servizi alla persona e estensione ai rapporti di lavoro nella PA.

Ventisei articoli, dai quali non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, e misure sperimentali solo per il 2015, tranne che l’art 24  anch’esso sperimentale per il triennio 2016/2018, con ridondanti e barocche procedure che prevedono le solite cabine di regia. Tutto per perdere ulteriore tempo, visto che sulle prassi di contrattazione per poter accedere ad una quota pari al 10% del Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello di cui al Cap. 4330 dello Stato di previsione della Spesa del Ministero del lavoro e delle politiche sociali non c’è nessuna necessità di creare filtri con altri grupponi in chiuse stanze in quanto l’osservatorio sulla Contrattazione dell’Ufficio della Consigliera Nazionale di parità dal 2011 anche questo lavoro, gratuitamente, lo ha compiuto. Una Banca dati c’è, basta valorizzarla e non accantonarla.

Ma la questione più delicata è relativa alle modifiche al  TU 151/2001 art 31 e specificatamente ciò che presenta una evidenza di incostituzionalità dell’attuale  art 18 e 19 del Testo in lavorazione in merito alla disparità  di trattamento per congedo tra padre adottivo dipendente, padre adottivo libero professionista per indennità che modifica l’art 70/ del TU 151 e che prevede un congedo di paternità al padre libero professionista  attuando dunque una discriminazione normativa tra padri con diverse posizioni in caso di possibilità di avvalersi delle norme previste per congedo per morte o infermità della madre. Si suggerisce per non incorrere in difetto di incostituzionalità di prevedere diversa formulazione nel caso in cui la madre non abbia richiesto il periodo di indennità in oggetto“ . Infatti, così come sono scritti gli art. 18 e 20 parrebbero proporsi di “equiparare” la posizione del padre libero professionista a quella della madre, modificando gli art. 70 e 72 d.lgs. 151/01, già oggetto di diversi interventi della Corte Costituzionale.

Desidero ricordare che  la Corte Costituzionale, nel dichiarare la parziale incostituzionalità degli art. 70 e 72, ha evidenziato che gli istituti nati a salvaguardia della maternità non hanno più, come in passato, il fine precipuo ed esclusivo di protezione della donna, ma sono destinati alla difesa del preminente interesse del bambino che va tutelato non solo per ciò che attiene ai bisogni più propriamente fisiologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della sua personalità.

Si ritiene pertanto che l’art. 18 dello schema di decreto, al fine di garantirne la legittimità costituzionale, dovrebbe essere modificato sostituendo l’inciso “in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre” con l’inciso (tratto dall’attualmente vigente art. 31 d.lgs. 151/01) “, nel caso in cui la madre non l’abbia richiesta”.

Poi: Prima rilevazione riguarda  art.1 ) la sperimentalità e l’ambito della delega prevista dall’art.1 comma 8: l’oggetto è ” tutelare la maternità delle lavoratrici, favorire le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per la generalità dei lavoratori”. L’obiettivo del legislatore pare essere il sostegno alla partecipazione delle donne al mercato del lavoro (ML), ed evitare che si debba scegliere tra lavoro e famiglia; evitare la dispersione della manodopera femminile, considerato che il fenomeno del mancato rientro dopo la maternità è significativo in termini statistici. Siamo all’aprile del 2015 e un anno per mettere in moto un meccanismo sperimentale pare veramente poco.

Vero è che sono rimasti delusi tutti/e coloro che si dedicano ai temi dell’uguaglianza e delle pari opportunità sul lavoro, delle azioni positive, del diversity management, e se l’intento della delega è circoscritto al mantenere le donne al lavoro, consentire la loro permanenza o il rientro nel ML, sul presupposto che il freno sia sostanzialmente il lavoro di cura i tempi sono veramente, già quasi scaduti  di avvio impatto e monitoraggio dei provvedimenti annuali per poi  passare dalla sperimentalità alla conferma dei provvedimenti e dunque testarne l’efficacia. La questione che non ottiene risposta dal legislatore, invece, è un’altra: quale tipo di occupazione.

Ad oggi aprile 2015 pubblicati sia dal Ministero del lavoro che da Istat i rapporti sull’occupazione  considerando i dati statistici e il declino dell’occupazione femminile, è facile accorgersi che il problema non è solo quello dell’incentivazione dell’occupazione femminile,  il problema è anche quello di favorire “buone” occasioni di lavoro per le donne. Pur constatando il trend negativo di assunzioni anche di donne, comunque, il maggior volume di assunzioni si concentra, nel settore Servizi. In termini di genere, ciò che segna una significativa differenza è il numero medio di attivazioni contrattuali per persona – cioè il numero dei rapporti di lavoro attivati, più turn-over e più avvicendamento di contratti di lavoro, e l’interpretazione delle rilevazioni statistiche  occupazionale delle lavoratrici è  in gran parte, determinato dalla loro capacità di adattamento al ML, dalla loro flessibilità e disponibilità ad occupare anche i segmenti meno remunerati (e professionalmente pregiati) del ML. Dunque, non solo incremento dell’occupazione femminile che è ovviamente  il primo problema, ma che per ora non è in agenda credibilmente. Questa dovrebbe coniugarsi anche con la buona occupazione.

Una seconda rilevazione: seppure così circoscritto l’obiettivo politico-legislativo della Delega, appare  positiva la prevista estensione della tutela economica della maternità a tutte le lavoratrici, anche parasubordinate. L’universalizzazione della tutela della maternità, rimedia una fattuale disparità di trattamento giuridico, agganciando la tutela all’evento maternità in sé, a prescindere dal tipo di contratto di lavoro. Vero è che la soluzione estensiva è già stata anticipata dalla giurisprudenza di merito: una pronuncia del Trib. Bergamo (dicembre 2013) ha riconosciuto l’applicazione del principio di automaticità delle prestazioni previdenziali anche ai lavoratori parasubordinati: principio in forza del quale non si perde la prestazione previdenziale (la tutela economica della maternità) anche in difetto di contribuzione da parte del Committente.

L’estensione della tutela della maternità, tuttavia, anche solo  sperimentalmente per un anno,  omporta una copertura finanziaria graduale che deve essere computata nella legge di stabilità già definita  per l’anno in corso  e dunque secondo l’art 25 comma 3dello Schema  si prevede mediante riduzione del Fondo di cui art 1,comma 107, legge stabilità n. 190 /2014 che così stabilisce: finanziamento degli ammortizzatori sociali (e di altre voci) con 2.200 milioni di euro per ciascun anno 2015 e l 2016 e con 2.000 per il 2017 e gli anni a seguire, vengono finanziati dal comma 107:

a) la riforma degli ammortizzatori sociali, anche in deroga;
b) la riforma dei servizi per il lavoro e le politiche attive;
c) il riordino dell’attività ispettiva;
d) la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro
e) gli oneri volti a favorire la stipula di contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti.

Ma dove troviamo le risorse, stando i conti ancora così in rosso? Allora ragioniamo e non diciamo non verità. Nella medesima prospettiva di incentivo all’occupazione femminile (anche delle lavoratrici autonome)  è grave che non sia stata affrontata la cd tax credit poiché  doveva evidentemente essere considerata anche a favore di donne con figli minori o non autosufficienti e con redditi bassi).Pare evidente  che secondo il Testo autentico , l’art. 1,  comma 9 lettera c), della Delega, lo strumento del tax credit doveva  “armonizzarsi” con il regime delle detrazioni fiscali per il coniuge a carico.

Tuttavia, è evidente che è prevalsa la confusione che più che di armonizzazione si sarebbe trattata di “sostituzione” rispetto alla detrazione fiscale, che verrebbe “abolita” e così l’incentivazione sarebbe stata finta. Ci sono molti dubbi, in verità, sugli effetti occupazionali degli incentivi fiscali: la l. n. 92/2012 ha già previsto all’art. 4, co. 11 e 12-bis un incentivo all’occupazione femminile sotto forma di riduzione del 50% dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro. La politica degli incentivi, se non è ben calibrata, finisce per creare una segmentazione nel mercato del lavoro (se n’è reso conto anche il legislatore della c.d. Riforma Fornero che ha tentato una razionalizzazione: cfr. art. 4, co. 12, l. n. 92/2012).

Così come nella prospettiva promozionale dell’occupazione femminile, è preoccupante e negativo lo stralcio l’art. 1, comma 9 lettera i e f), della delega di favorire l’integrazione pubblico-privata dell’offerta di servizi per le cure parentali, specie quelli offerti dalle aziende (con l’aggiunta dei fondi ed enti bilaterali). Si alludeva nel testo poi stralciato, probabilmente, a forme di welfare aziendale che andrebbero opportunamente agevolate. Purtroppo, il Ddl. non solo ha stralciato, ma già evidenzia che non c’è nessuna volontà di chiarire  come realizzare l’integrazione e come favorire l’utilizzo ottimale  di tali servizi che rimangono solo enunciati. La nuova disciplina deve fare uno sforzo vero e concerto di  coordinamento con la l. n. 92/12 che ha già previsto la corresponsione di voucher per l’accesso alla rete pubblica (e privata accreditata) dei servizi per l’infanzia. Tutti i buoni propositi dl legislatore dove sono finiti? Attendo così di trovare un’adeguata collocazione in un provvedimento normativo ad hoc sulla sussidiarietà nel welfare poiché è evidente che così com’è  non è virtuosamente concretizzabile.

Terza rilevazione: L’aspetto più interessante dello schema di  Delega e oggetto – forse – di sviluppi futuri – è contenuto nell’art. 24 , e riguarda la promozione di accordi collettivi finalizzati alla flessibilità oraria, all’impiego dei premi di produttività per sostenere la conciliazione vita-lavoro, il ricorso al telelavoro. A questo proposito, sempre in via sperimentale per il triennio 2016-2018, si prevede una quota pari al 10% del Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello di cui al Cap.4330 dello Stato di previsione della Spesa del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, missione 25, politiche previdenziali, programma 25.3 “previdenza obbligatoria e complementare, assicurazioni sociali  :  Si sappia però che la dotazione per il 2014 del Fondo  pari a 607 milioni di euro in conto competenza poi ridotti a 557 milioni  è stato ridotto per il solo 2015 di 200 milioni quindi presumibilmente oggi attestato intorno ai 357 milioni sempre secondo l’art 26 comma 11 Legge di stabilità 2015 stando allo schema di Decreto dovrebbe essere di 35 milioni (10%) per gli anni 2016-2018.  Ma non c’è certezza di copertura ora. Sicuramente  questa poteva essere l’occasione per una vera apertura, non solo alle migliori prassi collettive, ma ai sistemi di welfare aziendale che possono avere anche un carattere unilaterale, cioè essere progettati e attuati direttamente dal datore di lavoro, senza mediazione collettiva, e senza attendere che il Ministero del lavoro con suo decreto definisca i criteri e modalità d’uso, rimandando all’adozione di linea guida già peraltro stabilite dall’Accordo di azione comune stabilito dalle Parti sociali nel Marzo 2011, che ebbe come strumento operativo l’Osservatorio e Banca Dati la raccolta di accordi sottoscritti e prassi che sono in dote dell’Osservatorio attivato dalla Consigliera di parità Alessandra Servidori e tutt’ora operante. Inoltre anziché pensare  solo ad un’incentivazione fiscale della “singola” assunzione, poteva forse avere  successo una politica di razionalizzazione e di sgravi fiscali per le imprese che investono nella conciliazione e nei programmi di welfare aziendale, andando oltre quel 10% dedicato al Fondo  per la contrattazione collettiva,che nella bozza verrebbe sottratto al finanziamento di sgravi contributivi di cui al capitolo 4330  missione 25 (politiche previdenziali?) del Ministero del lavoro senza una ragionevole possibilità di attribuzione stando la situazione della riforma degli ammortizzatori sociali prioritaria rispetto all’utilizzo delle risorse limitate dai tagli di spesa.

In sintesi: il perno centrale dell’intervento legislativo pare  la universalizzazione della tutela economica della maternità – che risponde a principi di uguaglianza formale e sostanziale – ma quando si tocca il tema della conciliazione il veicolo più idoneo, non pare la legge, quanto piuttosto la sussidiarietà orizzontale e, in questo ambito, la contrattazione collettiva che ne dovrebbe risultare il motore ma che non ha la benzina. Pacchetti di servizi aziendali, personalizzati, più prossimi alle esigenze delle persone,  paiono ben più utili di una serie di congedi micro/macro, rispetto ai quali la selezione da parte del beneficiario segue spesso un criterio di convenienza economica anziché di reale adeguatezza allo scopo. Da questo punto di vista ricordiamo  due anni fa dalla Riforma Fornero  che è quella di sperimentare i congedi di paternità autonomi e obbligatori. La condivisione delle responsabilità genitoriali per favorire anche pari opportunità sul lavoro è un tema giusto, anche se in questo modo si finisce per guardare ad un solo e determinato modello di “famiglia” o di cura familiare. Al di là della sostenibilità finanziaria, e quindi della reale praticabilità, la migliore caratteristica “giuridica” dei congedi resta la flessibilità. Non è casuale che la proposta di Direttiva europea sull’estensione della durata minima del congedo obbligatorio di maternità e di paternità sia stata ritirata dalla Commissione europea nell’ambito di un’agenda di semplificazione denominata Refit a luglio 2014 (per procedere all’elaborazione d’un nuovo testo) perché mancava la copertura finanziaria in seguito ai tagli di spesa europei . Quarta rilevazione. Molta incertezza di realizzazione è ancorata all’Art 7 dello Schema di Decreto  lettera b,c la questione non solo della possibilità di congedo parentale a ore che comunque non pare possibile prescindere dalla contrattazione/regolamentazione di secondo livello e di  un pacchetto di giorni o ore che rientrano in una programmazione almeno mensile delle eventuali cessioni di permessi/ore che tengano conto dell’organizzazione aziendale complessiva, e non provvisoriamente definita come nello schema con un preavviso di 2 giorni nel caso di congedo parentale su base oraria.

Quinta rilevazione Molta perplessità ed evidenza riguarda art. 23: introduzione di congedi  dedicati alle donne inserite nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere poi esplicitate art 23 Bozza di decreto .Vi sono questioni attinenti alla riservatezza e alla tutela che rimangono assolutamente  e difficilmente governabili in ambito aziendale per le dipendenti e lavoratrici autonome e soprattutto manca una copertura finanziaria adeguata. La penultima rilevazione : l’incognita dei costi di tutto il JA “tutte le deleghe possono essere attuate ad invarianza di spesa”. Non si vede, però, come si possa, ad invarianza di spesa pubblica, estendere in modo universale la tutela della maternità,  garantire la tutela assistenziale alle lavoratrici parasubordinate anche in mancanza di contribuzione da parte del Committente. La Relazione tecnica alla Delega contiene un passaggio fondamentale: “poiché dai criteri di delega non risultano evidenti economie per la finanza pubblica, l’eventuale attuazione dei principi di delega con effetti onerosi non potrà che avvenire successivamente all’attuazione degli altri criteri di delega da cui derivino effetti finanziari positivi, in grado di compensare l’onerosità dei primi”.  Dunque, se l’attuazione dell’art. 8 e 9 comporta nuovi oneri finanziari, occorre preventivamente compensare con un’economia di spesa sull’attuazione degli altri principi della Delega. Allora, pare evidente che guardare alle potenzialità della contrattazione collettiva e del welfare aziendale non sia solo la via preferibile, ma probabilmente l’unica via “realistica” per attuare un ML a misura della conciliazione vita-lavoro, a misura delle donne e degli uomini.

Ultima rilevazione: l’aggiunta dell’art 26 che fino a pochi giorni non c’era. Ed è  l’inserimento della clausola della salvaguardia,rispondente ai criteri di effettività e automaticità ai sensi dell’art 17, comma 12 legge 196/2009, in base alla quale, per l’applicazione del decreto in oggetto non ce se ne può infischiare.

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