Ancora dalla parte di Francesco contro le demenzialità del gender e per una ragionevole democratica cultura antropologica. Ancora una volta Papa Francesco ha detto quella verità che in molti condividono, ma che non è di moda. Ebbi già a sottolineare nel dicembre scorso ad un convegno sulla democrazia rappresentativa, con malumori e mugugni registrati in aula, che sia l’Europa e l’Italia si stavano inclinando su una generalizzazione della diversità di genere che esaltava le varie etnie, religioni, tendenze di omosessualità ed eterosessualità, come la priorità della politica per le Pari opportunità, confinando l’antico e irrisolto problema della discriminazione verso le donne. Discriminazione e penalizzazione che ancora oggi è robustamente evidente sia a livello sociale che occupazionale.
La complementarietà e la reciprocità tra uomo e donna, il valore diverso dell’uno e dell’altra nel rispetto della persona e della sua identità e la rimozione delle differenze spostando l’attenzione su altro, infatti, rappresentano il problema, non la soluzione. Dice Francesco: “…per risolvere i loro problemi di relazione l’uomo e la donna devono invece parlarsi di più, ascoltarsi di più, trattarsi con rispetto e cooperare con amicizia. Come tutti sappiamo, la differenza sessuale è presente in tante forme di vita, nella lunga scala dei viventi…,i l ruolo della donna nella società,nella Chiesa deve avere molta più spazio”.
Perfetto Francesco. Sono totalmente convinta che la verità su una questione che rischia di deflagrare in una battaglia ideologica e rendere la convivenza sociale peggiore per tutti va affrontata. Il gender ad oggi è un insieme di teorie fatte proprie dall’attivismo gay e femminista radicale per cui il sesso sarebbe solo una costruzione sociale. Vivere “da maschio” o “da femmina” non corrisponderebbe più a un dato biologico ma ad uso costrizione culturale.
L’identità sessuata, cioè essere uomini e donne, viene sostituita dall’identità di genere (“sentirsi” tali, a prescindere dal dato biologico). E si può variare a piacimento, anche mantenendo immutato il dato biologico. I generi, secondo il gender, non solo più solo maschile e femminile. Ai generi (non corrispondenti ai sessi) esistenti in natura, andrebbero aggiunti quelli previsti dall’acronimo LGBTQ (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e queer, cioè chi rifiuta un orientamento sessuale definito e si ritiene libero di variare a suo piacimento o di rimanere “indefinibile”).
Ma il governo australiano ne ha riconosciuti ufficialmente 23. E Facebook USA permette di scegliere il proprio “genere” tra 56 diverse opzioni. La scienza ci dice che la differenza tra maschile e femminile caratterizza ogni singola cellula, fin dal concepimento con i cromosomi XX per le femmine e XY per i maschi. Queste differenze si esprimono in differenze peculiari fisiche, cerebrali, ormonali e relazionali prima di qualsiasi influenza sociale o ambientale. La “varietà” pretesa dalle associazioni LGBTQ non ha alcun fondamento scientifico e anzi confonde diversità fisiologiche (i cosiddetti stati intersessuali) con la fisiologia (normalità).
Ma se vogliono pensarla e agire diversamente la libertà è assicurata. Quando però la loro libertà non comincia quando finisce la libertà di altri. Bisogna ben ricordare cosa si intende generalmente per omofobia: un neologismo lanciato dai media per definire gli atti di violenza, fisica o verbale, contro gli omosessuali – atti che vanno sempre e comunque condannati, come ogni altra violenza – e contro chi, come le associazioni LGBTQ, promuove la teoria del gender.
Oggi l’accusa di omofobia è diventata però un vero e proprio strumento di repressione nei confronti di chi sostiene un’antropologia diversa rispetto a quella del gender, e questo è non solo antidemocratico ma è demenziale. Perché pretendere non solo di influire sul modo di pensare, di educare, mediante scelte politiche ma anche di vincolare sotto il profilo penale chi non si adegua (decreto legge Scalfarotto); imporre atti amministrativi (alcuni Comuni e alcuni enti hanno sostituito i termini “padre” e “madre” con “genitore 1” e “genitore 2”); educativi (la cosiddetta “strategia nazionale” per introdurre nelle scuole testi e programmi “aperti” alla ricezione della teoria del gender e cioè l’eliminazione del maschile e del femminile, quindi anche dei modelli familiari normali): è un vero e sistematico attentato alla libertà di pensiero e di educazione da parte di una minoranza (gendercrazia).
Emarginare poi la questione femminile sia dalla discussione politica che dall’iniziativa di contrasto alla discriminazione ancora violentissima nei confronti delle donne, è diventata la priorità anche della Presidenza del Consiglio sulle Pari opportunità che con questa tendenza prevaricante con UNAR (Ufficio antidiscriminatorio) anche ogni scelta politica esondando con tutte iniziative programmate e finanziate su LTGb sta diventando patetico. E nel silenzio più assordante, anzi con la complicità della Consigliera renziana Martelli, il tacito consenso del ministero del Lavoro. Tranne chi scrive che naturalmente risulta molesta e non si adegua alla moda.