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Ecco come Civiltà Cattolica bacchetta il governo sulle Popolari

Nell’attuale situazione di crisi, l’approvazione, da parte del Parlamento il 23 marzo scorso, del decreto del Governo sulle banche popolari rischia di penalizzare proprio le fasce più deboli della popolazione. La scelta politica, oltre a esprimere la mancanza di sensibilità verso la finanza cooperativa, introduce un limite alla libertà di organizzazione d’impresa che non ha uguali negli altri Paesi europei.

In Paesi come Olanda, Francia, Germania, Austria e Finlandia (oltre che in molti altri Paesi del mondo) esistono banche a voto capitario in cui il socio ha un voto indipendentemente dal numero delle azioni possedute, come le banche di credito cooperativo o popolari, con capitalizzazioni ben oltre la soglia degli 8 miliardi di euro. Le grandi reti cooperative internazionali hanno dimensioni molto superiori agli 8 miliardi di euro (i primi 50 gruppi nel mondo hanno un attivo medio di 150 miliardi) e operano su territori molto vasti.

In Germania, per esempio, il Governo è intervenuto per capitalizzare con fondi pubblici (centinaia di miliardi) le banche popolari, che hanno avuto prestazioni molto peggiori di quelle italiane, perché ritiene la loro missione un pilastro essenziale per lo sviluppo dell’economia di territorio. Il Governo inoltre ha attribuito il deterioramento della qualità del credito alla crisi sistemica e non alla responsabilità degli Istituti.

Se per la cancelliera tedesca, Angela Merkel, le banche a voto capitario sono un cardine dell’economia sociale di mercato, con il decreto sulle banche popolari non è risultato essere lo stesso per il Governo italiano, intenzionato a porre fine alla loro esperienza.

Il successo o meno di un istituto bancario dipende quasi sempre dall’etica e dalle capacità della sua classe dirigente, piuttosto che da un vizio di forma di una società, sia essa spa o banca a voto capitario. Garantire lo spirito delle banche popolari favorirebbe la diversità di obiettivi e di funzioni a favore del territorio, perché ogni modello di banca risulta più adatto ad alcune funzioni che ad altre.

Invece di impedire per decreto una modalità di fare banca più vicina al territorio e alle imprese, riducendo così la diversità del sistema, sarebbe stato opportuno che il Governo si fosse impegnato nella redazione di un testo unico bancario a livello europeo, per dare ad ogni istituto di credito la libertà di scegliere una forma bancaria tra quelle che hanno superato la crisi. Questa sarebbe la premessa per la costruzione anche di un’Europa (bancaria) ricca di diverse forme organizzative, attenta a rilanciare il benessere dei territori e a promuovere il bene comune delle comunità locali.



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