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Perché la strage in Kenya è stata snobbata

Dicono che la matematica non sia un’opinione, ma è sempre così? Lo scorso giovedì un commando dell’organizzazione terroristica Al Shabab (qui chi sono e cosa vogliono) è entrato all’Università di Garissa, in Kenya. Dopo avere separato musulmani da cristiani i terroristi hanno ucciso 147 studenti. Sulle sorti di un altro centinaio di studenti cristiani che erano all’interno della struttura non si sa ancora nulla. Una strage, quella a Nairobi, molto maggiore in termini numerici di quella compiuta alla redazione del quotidiano satirico francese Charlie Hebdo il 7 gennaio, dove sono morte 12 persone in mano ai fratelli Saïd e Chérif Kouachi e Amedy Coulibaly.

JE SUI KENYA

Ma la strage nell’università keniota non ha scatenato troppo la reazione della comunità internazionale. Nonostante la rivendicazione di Al Shabab e le terribili immagini dei cadaveri, non c’è paragone con l’indignazione di fronte al massacro in Francia. Fino ad oggi non ci sono stati tweet di personaggi noti, marce dei capi di Stato per le strade di Nairobi (come quella a Parigi) né trending topic simili al ormai famoso “JeSuiCharlie”.

SGUARDO DEL MONDO

Il presidente del Kenya Uhuru Kenyatta ha dichiarato un lutto nazionale di tre giorni e ha ordinato il primo bombardamento: “Lotteremo contro il terrorismo fino alla fine. Garantisco che il mio governo risponderà nella maniera più feroce contro i terroristi”, ha detto. Nell’omelia di Pasqua, Papa Francesco ha invitato la comunità internazionale a non restare inerme di fronte a quanto succede in Siria e in Irak. “Il mondo non giri lo sguardo”, ha invitato.

GERARCHIA DELLA MORTE

Forse questo snobismo si deve a quella strana teoria della “gerarchia della morte”? In un articolo pubblicato dal quotidiano Guardian, il giornalista Roy Greenslade cerca di spiegare il concetto di “A hierarchy of death”, sostenendo che l’impatto delle vittime risponde a criteri di prossimità e qualità di informazione: “I morti nazionali generano un interesse umano nelle testimonianze e le persone che vogliono sentirlo, mentre i morti stranieri si riducono a cifre”.

La qualità dell’informazione, invece, dipende della presenza dei media nel luogo dove avvengono i fatti e le risorse dei reporter per arrivare alle zone in conflitto. In questo senso, c’è stata una giusta copertura della strage in Kenya?

PESO STRATEGICO

Owen Jones, un altro giornalista del Guardian, ha fatto un resoconto delle recenti vittime in Africa, dal Congo al Kenya e ha confrontato la copertura mediatica con i morti dell’aereo Germanwings: “Alcune vite sembrano valere più che altro. Dimentichiamo le guerre nei Paesi senza peso strategico”.

DISUMANIZZAZIONE DEI FATTI

In un articolo pubblicato sull’inserto Verne del quotidiano spagnolo El Pais, il giornalista Miguel Ángel Bastenier ha scritto che “l’informazione è guidata da reti di potere. Per questo 150 morti in Kenya sembrano importare meno in Europa che 13 a Parigi. La morale è diversa”.

Bastenier sostiene che i mezzi di comunicazione che si occupano di temi internazionali molte volte hanno a disposizione solo agenzie di notizie: “Per questo si parla di più dell’aereo di Germanwings che di molti altri conflitti. Ma con questo si rischia di disumanizzare i fatti e diventa difficile creare empatia con le vittime”.

All’Università di Garissa sono stati uccisi 147 studenti cristiani. Al Shabab ha voluto colpire il più grande alleato per sconfiggere il terrore: l’istruzione. Non basta quello per sentire vicina la tragedia?

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