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Famiglia e non solo. L’eredità di S. Giovanni Paolo II

Cade in questi giorni il decimo anniversario della morte di S. Giovanni Paolo II, avvenuta il 2 aprile 2005. E per una felice coincidenza, la ricorrenza cade in concomitanza con un altro, importante anniversario, di cui per altro poco si è parlato anche (e soprattutto) in ambito cattolico, ovvero il ventennale di una delle più belle encicliche del santo papa polacco, l’Evangelium Vitae, promulgata il 25 marzo 1995. Tra i tanti aspetti che hanno caratterizzato il lungo pontificato di Karol Wojtyla, vi sicuramente la centralità della famiglia e della vita, che nella visione giovanpaolina erano poi due facce di un’unica medaglia posto che la realtà per eccellenza dove la vita nasce, si sviluppa e termina la sua parabola terrena, è la famiglia. E forse non è un caso se da più parti, ora che la chiesa si sta incamminando verso il Sinodo ordinario sulla famiglia del prossimo ottobre, arrivano con insistenza crescente richiami a non tradire l’eredità di S. Giovanni Paolo II. Che non solo – ci si riferisce in primis alla Familiaris consortio – non è superata, come qualcuno ha sentenziato troppo frettolosamente, ma anzi conserva intatta tutta la sua carica profetica. E non serve dire, quasi fosse un mantra, che i tempi sono cambiati e che la realtà della famiglia oggi non è più la stessa di quella del tempo in cui fu scritta l’esortazione in questione. Non è questo il punto. Il punto è un altro, e corrisponde alla domanda se la chiesa ritiene di avere una parola di verità sulla famiglia oppure no. La grandezza di papa Wojtyla sta proprio in questo: ha saputo dare una parola di verità non solo sulla famiglia, ma anche sulla vita, sulla sessualità, sul corpo, e più in generale sulla persona umana, annunciando ovunque e fino alla fine lo stesso Vangelo di sempre, accordandolo secondo lo spirito del Vaticano II sulla sensibilità dell’uomo contemporaneo. Non per nulla, il programma del suo pontificato può ben essere riassunto in quella “nuova evangelizzazione” di cui egli stesso si fece apostolo andando letteralmente fino agli estremi confini della terra, e soprattutto testimoniando nella sua carne e fino all’ultimo istante di vita, quella Verità per cui si era speso. Oggi, invece, si assiste non senza preoccupazione all’azione di ampi settori della chiesa che spingono per cercare un improbabile compromesso tra l’esigenza di trovare soluzioni pastorali “coraggiose” senza intaccare la dottrina, che nella migliore delle ipotesi rischia di essere un compromesso al ribasso, e nella peggiore un vero e proprio smottamento dalle conseguenze imprevedibili. Un atteggiamento, questo di certo mondo cattolico, che spesso confonde la misericordia con l’accondiscendenza, e che fa tutt’uno, ed anzi ne è frutto, con una certa miopia su quale sia la vera posta in gioco. A leggere le dichiarazioni di esponenti anche di spicco dell’episcopato, o certi commenti pubblicati dove meno te l’aspetti, pare quasi che l’attivismo spontaneo di associazioni, gruppi di persone o semplici cittadini per contrastare, ad esempio, l’avanzata dell’ideologia di gender in tutti i gangli della società, sia eccessivo e, soprattutto, fuori luogo. Quasi che il problema fosse un non problema. Forse è anche per questo che l’ultimo, in ordine di tempo, fattaccio avvenuto in una scuola di Roma è passato praticamente sottotraccia. Stiamo parlando di quanto accaduto alla scuola dell’infanzia Contardo Ferrini, nel quartiere Trieste della Capitale. Dove lo scorso 14 ottobre – ma i genitori lo hanno saputo solo il 19 marzo (oltre al danno pure la beffa) il collegio dei docenti ha approvato una delibera che ha soppresso sia la festa del papà sia quella della mamma. La decisione è stata presa, manco a dirlo, “a causa dei continui cambiamenti della famiglia”. Quando si è saputa, la novità non è certo passata inosservata, con tanto di ricorso alle vie legali dei genitori imbufaliti. Come se non bastasse, a gettare benzina sul fuoco ci ha pensato l’assessore alla Scuola del comune di Roma, Paolo Masini, che prendendo le difese dei docenti ha dichiarato: “Gli adulti non dovrebbero aver bisogno di fare crociate mettendo in mezzo i loro bambini. La comunità scolastica non ha bisogno di ideologismi del genere”. Ora, a parte il fatto che non è chiaro chi in questa vicenda stia facendo una crociata, quel che è più grave è che all’assessore sembra essere sfuggito il non piccolo particolare che se si è arrivati alle carte bollate è proprio a causa di una scelta ideologica della scuola. Per cui la frase andrebbe corretta: “La comunità scolastica non ha bisogno dell’ideologia di gender”. Questo, dicevamo, è solo l’ultimo episodio di un’offensiva capillare che le lobby che promuovono l’indottrinamento gender stanno muovendo a tutti i livelli, nei giornali, in parlamento, nelle istituzioni politiche e, soprattutto, nelle scuole. Ma senza un’azione altrettanto forte, culturale e non solo, da far viaggiare in parallelo ad una rinnovata spinta evangelizzatrice, gli esiti di questa battaglia – perché di questo si tratta, di uno scontro epocale tra due antropologie – rischiano di essere scontati. Anche per questo l’eredità di Karol Wojtyla conserva intatto il suo valore.



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