La bollicina del Nordest traina l’export. È oggi sinonimo di spumante e alternativa allo Champagne. Trentodoc e Franciacorta seguono, ma a prezzi meno accessibili.
C’è uno spumante italiano che sta diventando un caso internazionale. La crescita delle sue esportazioni ne ha fatto una case history tale da sollevare ammirazione e invidie (ma non lo ammetteranno mai) perfino da parte dei francesi che, della materia, sono gli indiscussi maestri. Si tratta del Prosecco. La conferma arriva dai numeri e dalle convinzioni emerse alla recente edizione di Vinitaly. “Con questo vino stiamo facendo parlare il mondo, è un elemento di traino per l’intero settore”, afferma Domenico Zonin, presidente dell’Unione Italiana Vini (associazione che comprende industriali, commercianti e viticoltori) e amministratore delegato di Casa Vinicola Zonin, leader nel Prosecco doc con 20 milioni di bottiglie prodotte nel 2014. I numeri, appunto, parlano chiaro. Negli ultimi dieci anni l’export del vino italiano è aumentato dell’88%, progresso che non ha eguali nell’ambito agroalimentare, ma se consideriamo lo spumante siamo al +263 per cento. “Solamente dal 2010 a oggi la crescita è stata dell’89%, arrivando ad oltre 840 milioni di euro contro i 181 milioni del 2000”, sottolinea Denis Pantini, responsabile del Wine Monitor di Nomisma. A vino trainante (Prosecco) corrispondono due aree di consumo spumeggianti. “Negli Stati Uniti e nel Regno Unito l’export di spumanti italiani ha registrato rispettivamente +106% e +257% negli ultimi cinque anni, facendo di questi due mercati lo sbocco per il 40% dell’export complessivo dei nostri spumanti”, precisa Pantini. Nello stesso periodo, il giro d’affari delle bollicine italiane è quadruplicato in Cina e raddoppiato in Francia, patria dello Champagne. Tra i diretti concorrenti, rileva l’analisi Ovse (Osservatorio economico vini) sull’export 2014, anche gli spagnoli hanno dovuto incassare la forza delle bollicine italiane, di cui hanno raddoppiato il loro import. “Il Prosecco doc – osserva Zonin – è passato in poco tempo da 70 a 300 milioni di bottiglie. Con la creazione di una denominazione così vasta, comprendente due regioni (Veneto e Friuli) e nove province, si pensava che fossero stati piantati troppi vigneti e che l’offerta fosse in eccesso; invece il prodotto non basta a soddisfare le richieste”. Il 60% della produzione doc viene esportata, mentre il 57% di quella docg (Superiore di Conegliano-Valdobbiadene, che nel 2014 ha sfiorato gli 80 milioni di bottiglie, +9,2%) resta ancorata al mercato interno: “Qualcuno potrebbe consideralo un dato limitante, noi pensiamo invece che sia un punto di forza perché rappresentiamo lo stile di vita italiano”, afferma Innocente Nardi, presidente del Consorzio di tutela docg. Le ragioni del successo di questa bollicina dipendono da un insieme di fattori. I consumatori, soprattutto i millennials che si avvicinano ai bianchi, premiano vini leggeri, ideali per l’aperitivo o da miscelare nei cocktail (è il caso dello spritz), profumati e fruttati, dall’elevata mineralità. “Il Prosecco ha uno splendido futuro perché sta sdoganando la logica dello spumante come prodotto da occasioni speciali e celebrative. Oggi è una bollicina quotidiana”, afferma Ettore Nicoletto, AD del gruppo Santa Margherita. Indubbiamente, la sua accessibilità di prezzo ne rafforza le quotazioni come prodotto di tendenza tra gli under 30, soprattutto all’estero. “In Germania, all’importatore, una bottiglia di spumante italiano ha un valore medio di 4,85 euro, mentre il made in France costa 13,96 euro”, ricorda Giampietro Comolli, presidente Ovse.
L’OSSO DURO FRANCESE
L’Italia si è imposta sul prodotto di medio prezzo, ma stenta a trovare spazio nella fascia presidiata dallo Champagne, la cui forza è schiacciante per brand, tradizione e ‘mito’ costruito attorno al suo posizionamento luxury. Non è un caso se in Germania, dove i consumi di vino sono in calo costante dal 2009 e premiano la produzione interna, il Prosecco è in controtendenza, gli altri spumanti italiani doc e igt perdono quota, ma nel 2014 si è rafforzato anche lo Champagne. La bollicina francese, dopo il calo registrato nel 2013, ha infatti ripreso la propria marcia all’estero mettendo a segno un +8% complessivo, con importanti recuperi in Gran Bretagna (+7%) e Stati Uniti (+5%), le stesse piazze dove è esploso il consumo di spumante italiano. “Rappresentando il top di gamma – afferma Pantini di Nomisma – è evidente che quanto più ci si avvicina in termini di prezzo tanto più la competizione diventa difficile. Le opportunità di crescita per i nostri produttori non vanno ricercate nella fascia in cui si trova lo Champagne”. Un’altra complicazione deriva dal fatto che nel mondo si stanno imponendo due brand collettivi per le bollicine e sono proprio Champagne e Prosecco, oscurando tutti gli altri (compreso il Cava spagnolo). Diverse ricerche condotte da Nomisma sui consumatori esteri hanno indicato, tra i fattori di successo dello spumante di nordest, la versatilità e l’origine italiana ancor prima del prezzo. “Abbiamo chiesto: se non trovasse Prosecco, cosa comprerebbe in alternativa? Molti hanno risposto: Champagne!”.
PRIMUM PROSECCO
Ciò complica i tentativi di sfondare all’estero per i produttori di metodo classico quali Trentodoc e Franciacorta, legati tradizionalmente al mercato interno. I marchi bresciani stanno focalizzando gli sforzi su destinazioni caratterizzate da cultura enologica avanzata quali Usa, Giappone e Svizzera, confidando nell’effetto traino del Prosecco: “Il suo successo è positivo e sosterrà lo sviluppo del Franciacorta – afferma Arturo Ziliani, AD della Guido Berlucchi – perché il consumatore, una volta approcciata la bollicina italiana, può incrementare la propria esigenza di qualità”. La pensa allo stesso modo Matteo Lunelli, presidente delle Cantine Ferrari (Trento): “I trend sono positivi e nel mondo c’è interesse verso prodotti italiani di eccellenza alternativi allo Champagne. Il Trentodoc sta investendo sul mercato americano che, nei prossimi cinque anni, sarà determinante per la crescita all’estero, cercando di far valere le caratteristiche un territorio storico, straordinariamente vocato e che produce l’unica vera bollicina di montagna”. A breve termine, il Prosecco manterrà il ruolo di protagonista. “In cinque anni – scommette Giampiero Comolli dell’osservatorio Ovse – può arrivare a 450 milioni di bottiglie. Bisogna seguire il Prosecco, se si vuole esportare il metodo tradizionale, ed essere presenti in promo-commercio all’estero, non marketing, in tre sole capitali che sono nell’ordine Londra, New York e Berlino”.
Fabi investe nella Tenuta ColliVerdi
Il calzaturificio Fabi entra nel business del vino e rileva il 40% delle quote della Tenuta ColliVerdi di San Venanzo, nella provincia di Terni. La maggioranza delle azioni resta sotto il controllo di Loris Bachini, consulente dell’azienda calzaturiera di Monte San Giusto (Macerata). La superficie è pari a 1.200 ettari, di cui una decina vitati e il resto adibiti a pascolo, oliveto e altre colture. “L’operazione – afferma Flaminio Fabi – è stata effettuata perché mio padre Enrico espresse quand’era in vita la volontà di partecipare a quest’attività. La tenuta ha un altissimo potenziale sui vini rossi invecchiati e di struttura, è seguita da un grande enologo e ha una capacità produttiva di 40 mila bottiglie l’anno”. La scorsa settimana a Roma sono state presentate, nel corso di un evento che si è tenuto nel ristorante All’Oro dove opera lo chef stellato Riccardo Di Giacinto, le annate 2007 di Umbronte (70% Cabernet Sauvignon, 30% Merlot) e del Merlot, le ultime imbottigliate dall’azienda umbra, mentre per degustare il 2008 occorrerà attende un altro anno. Tenuta Colli Verdi punta a entrare al Vinitaly nel 2016 e sta riorganizzando la rete vendita internazionale sfruttando le sinergie con quella calzaturiera in alcuni mercati, in particolare la Russia, dove Fabi è tra i marchi leader del made in Italy.
I Vini di Unipol
Tra i big della finanza che hanno investito nel mondo del vino ora c’è anche Unipol. Dalla fusione con Fonsai, il gruppo assicurativo bolognese si è trovato in casa “Tenute del Cerro”, un patrimonio di cinque aziende agricole tra Toscana e Umbria che facevano parte della ex Sai Agricola: cinquemila ettari di terreno e trecento coltivati a vigneto tra Montefalco, Montalcino e Montepulciano, terra di grandi rossi, che generavano però un bilancio altrettanto “in rosso”. Dopo aver chiuso il 2013 con un passivo di 12,7 milioni di euro, i conti 2014 sono sulla via del miglioramento: 9 milioni di euro il giro d’affari, 1,2 milioni le perdite. Il presidente Vincenzo Tassinari, che per 25 anni è stato a capo di Coop Italia, punta a riportare l’azienda in attivo e per farlo ha investito in qualità, arruolando il re degli enologi Riccardo Cotarella, e nella ricostruzione dell’identità d’impresa iniziata con il cambio di ragione sociale e con un nuovo design del prodotto. “Oggi – racconta Tassinari – posso dire che stiamo ottenendo il riconoscimento da parte del consumatore, che poi è l’estremo giudice della nostra attività”. La principale destinazione dell’export (50% del fatturato con previsioni al 70%) sono gli Stati Uniti, ma la crescita più significativa per il 2015 riguarderà la Cina grazie alla partnership siglata tra Atahotels (anch’essa appartenente al gruppo Unipol) e la holding alberghiera Btg-Janguo, che inserirà i vini Tenute del Cerro nei suoi 90 hotel. “Per quest’anno in Cina abbiamo l’obiettivo di vendere 100mila bottiglie, ma puntiamo al raddoppio” conclude Tassinari.