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Svizzera e Santa Sede, le buone scelte del fisco italiano

Da gennaio 2015 ad oggi sono stati compiuti fondamentali passi in avanti per la politica fiscale italiana e per una sua, mai come oggi necessaria, modernizzazione. In un contesto in cui la politica (concorrenza) fiscale sta divenendo sempre più un’arma per attrarre investimenti e, quindi, combattere la crisi finanziaria, il raggiungimento di accordi relativi allo scambio di informazioni (da ultimo, con la Santa Sede) così come la modifica delle “Black List” sulla “indeducibilità dei costi” e sulle “Controlled Foreign Companies – CFC” rappresentano una fondamentale maturazione del sistema politico – fiscale italiano. In linea con il processo, in atto a livello internazionale, di incremento della cooperazione internazionale nella lotta all’evasione fiscale, lo Stato italiano ha affrontato (alla luce di una prima analisi, fattivamente) annose questioni, quali sono sempre state le relazioni finanziarie con la Santa Sede (ma anche e soprattutto con la Svizzera, il Liechtenstein e il principato di Monaco).

LE AZIONI “SVOLTA” DELLA POLITICA FISCALE ITALIANA

Come anticipato, di recente, il Governo italiano ha affrontato alcune tematiche di assoluta rilevanza (tanto per gli interessi erariali dell’Amministrazione finanziaria quanto per quelli delle aziende e delle persone fisiche che abbiano interessi economici fuori dai confini nazionali), in particolare in data 1 aprile 2015:

(i) da un lato, è stato siglato con la Santa Sede il primo accordo in materia fiscale sul modello OCSE (che segue, pur differenziandosi in parte, gli accordi raggiunti dallo stesso Stato italiano con la Svizzera, il Liechtenstein e il principato di Monaco rispettivamente in data 23 febbraio, 26 febbraio e 2 marzo 2015);

(ii) dall’altro, il ministero dell’Economia e delle Finanze ha firmato i due decreti ministeriali che ridisegnano la black list sulla “indeducibilità dei costi” e sulle “CFC” dando attuazione, rispettivamente, degli artt. 110 e 167 TUIR. I due decreti applicano quanto previsto dalla disposizioni introdotte dall’ultima legge di stabilità (2015) che ha modificato i criteri previsti per l’elaborazione delle black list.

LE CONSEGUENZE

Le due iniziative sopra descritte determinano non poche conseguenze tanto per l’Amministrazione finanziaria quanto per le aziende e le persone fisiche che abbiano interessi economici fuori dai confini nazionali. Da un lato, l’accordo siglato tra lo Stato italiano e la Santa Sede, è volto a favorire l’incremento della trasparenza fiscale e del rientro dei capitali, invero:

(i) consentirà il pieno adempimento, con modalità semplificate, degli obblighi fiscali relativi alle attività finanziarie detenute presso enti che svolgono attività finanziaria nella Santa Sede da alcune persone fisiche e giuridiche fiscalmente residente in Italia;

(ii) darà la possibilità agli stessi soggetti di accedere a una procedura di regolarizzazione delle stesse attività, con i medesimi effetti stabiliti dalla Legge n. 186/2014 (Voluntary disclosure);

(iii) determinerà, dalla data di ratifica della Convenzione, il pagamento delle imposte sulle rendite finanziarie relative all’anno 2014.

Dall’altro, la modifica della black list sulla “indeducibilità dei costi” in attuazione delle disposizioni introdotte dalla Legge di Stabilità 2015 (secondo cui l’unico fattore che preclude la possibilità di uscire dalla lista è la mancanza di un adeguato scambio di informazioni), è volta a favorire l’attività economica e commerciale trasfrontaliera delle imprese nazionali. L’espunzione di alcune economie rilevanti dall’elenco dei paesi considerati black list è assai rilevante anche nell’ottica del rientro di capitali, atteso che la Legge n. 186/2014 prevede – ai fini del computo dei termini di accertamento, quantificazione e applicazione delle sanzioni sul monitoraggio fiscale – diverse tipologie di regime a seconda che lo Stato ove siano detenuti i capitali sia o meno inserito nella black list.

Queste iniziative politiche appaiono rivelatrici di un mutamento della politica fiscale italiana. Forse per la prima volta, infatti, lo Stato italiano sembra aver cambiato rotta, comprendendo – come ormai hanno fatto già da qualche anno gli Stati fiscalmente più evoluti – che, spesso, per ottenere risultati non è necessario alzare direttamente la pressione fiscale quanto piuttosto favorire l’attività economica e commerciale transfrontaliera ovvero il rientro dei capitali detenuti all’estero (in tale ottica è interessante anche la normativa del Patent Box che ha previsto numerosi incentivi in materia di investimenti in Ricerca & Sviluppo).

Francesco Fratini, socio fondatore dello studio legale e tributario “Fratini&Associati”


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