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I Frecciarossa e le Ferrovie Sud Est

A Milano arriva Mennea, il treno frecciarossa ancora più veloce, in grado di coprire la distanza tra Roma e Milano in appena due ore, ed è subito festa. Le sorti progressive dell’era Renzi, sono. E di più non dimandare.
E però Mennea, giusto lui, il velocista, era uomo delle Puglie, uomo del Sud e, proprio nella sua di terra come nel resto del Mezzogiorno d’Italia, lo stesso non si può dire quanto a treni e non solo. Le Ferrovie Sud Est, variazione sul tema delle Ferrovie dello Stato, hanno treni del 15-18, ma di cento anni fa. Come in Sicilia del resto.
Renzi, come tutti i Principi di machivelliana memoria, divide et impera: – Chi guarda, come lui, al Mennea che arriva a Milano scommette sull’Italia che ce la farà, chi guarda alle Ferrovie Sud Est scommette sul fallimento del paese, ed é un disfattista -. O con lui o contro il paese, quindi.
I confindustriali, che sembrano allinearsi alla vulgata governativa che asfalta ogni intolleranza, attraverso le pagine del quotidiano di Viale dell’Astronomia, pubblicano, però, un dettagliato report sul divario Nord-Sud. Giusto poche pagine dopo la bella foto del Frecciarossa 1000 appena arrivato a Milano come un razzo.
E nel dovizioso articolo di Paolo Bricco si capisce una cosa: che il Sud non é nell’agenda del premier perché evidentemente il premier viaggia solo sull’alta velocità e, dunque, dopo Salerno non va.
Al Sud, fa comodo mantenere, attraverso la mano pubblica, l’ovile di voti e di migranti. Tanto i migranti autoctoni verranno sostituiti da quelli d’importazione cui basterà ancora meno, quanto a sussidi. Ma si capisce, soprattutto, un’altra cosa e cioè che la ricetta “turismo-agroalimentare” non basta e non può bastare. Perché, senza il valore aggiunto dei redditi prodotti da professionisti di altissima specializzazione, la sfida della globalizzazione e dell’automatizzazione che toglie posti di lavoro poco qualificati non potrà essere vinta. E su questo punto al premier non basterà fare spallucce di fronte ai giovani specializzati che lasciano il paese. Se lo fanno é perché il paese non è in grado di valorizzarli, ma soprattutto perché quei pochi ambiti in cui si potrebbero esprimere sono occupati da i “soliti” cooptati dalla politica. E su questo sbaglia anche Giuliano Ferrara quando, nella sua analisi disincanta sulla corruzione in Italia, la liquida come la fisiologica patologia cronica di un paese con troppa storia.

Il futuro non è nelle mani di chi crede che basti il faro della civiltà che i propri antenati hanno costruito, ma in quelle di chi sanno illuminare il proprio cammino con quella luce.

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