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I nodi irrisolti in Tunisia

L’attacco al museo del Bardo ha attirato i riflettori sulla Tunisia, ma durante la transizione la sicurezza non ha mai cessato di essere un problema in questo paese.

A misura che il partito islamista, sotto la guida di Rachid Ghannouchi, veniva costretto a scegliere un percorso moderato dagli eventi (come l’estromissione dal governo dei Fratelli Mussulmani per mano dei militari egiziani), le ali e frange non moderate dell’islamismo tunisino, nel partito e fuori, si sono estremizzate e si sono sempre più organizzate come un movimento politico di opposizione violenta.

Per un lungo periodo, il partito islamista Ennahda, allora al governo, condusse una politica di tolleranza verso le sue frange estreme, del tipo “compagni che sbagliano”, nella fiducia di convincerli a pazientare nell’attesa che il livello di consapevolezza sociale si adeguasse alle finalità di islamizzazione del partito.

Questo, assieme al deterioramento delle condizioni socio-economiche del paese, è stato uno dei grandi errori che ha tolto il potere ad Ennahda e favorito l’ascesa di Essebsi e dei secolaristi di NidaaTounes al governo.

COMPAGNI CHE SBAGLIANO

Oggi ogni legame fra Ennahda e l’estremismo di Ansar al-Sharia è caduto. Nel frattempo, però, un movimento estremista agli inizi limitato si è ingrossato, diffuso e radicalizzato soprattutto a causa dell’influenza crescente del contesto regionale.

Dal 2011 ad oggi, i giovani islamisti tunisini, via via delusi dal “parlamentarismo” di Ennahda e Ghannouchi sono emigrati a combattere nella Mezzaluna Fertile, prima in Siria con l’ala al-qaidista di Jabath al-Nousra e altre organizzazioni salafite, poi con lo Stato Islamico di al-Baghdadi in Iraq e Siria. Esistono varie valutazioni dei combattenti tunisini all’estero, siano essi propriamente jihadisti o meno: dai 3000 ai 4000. Di questi, alla fine del 2014, si valutava che 400 circa fossero tornati.

Accanto ai reduci del jihadismo regionale militante, il movimento di ribellione interna non ha cessato di ingrossarsi, specialmente nel sud del paese e nella regione di Kasserine, al confine con l’Algeria, in virtù delle influenze e delle interazioni con il movimento jihadista saheliano, in particolare AQIM, Al-Qaida nel Maghreb.

Poco riportati dai media, gli scontri con le forze dell’ordine sono ormai endemici. Numerose le vittime fra la polizia di stato. Un ultimo scontro si è svolto pochi giorni prima dell’attacco al museo del Bardo, che gli ha dato la risonanza internazionale che generalmente questa guerra lontana non riesce ad avere.

L’ATTACCO AL MUSEO

L’attacco al museo del Bardo segna un ulteriore progresso dell’estremismo tunisino sotto l’influenza del contesto regionale: l’attacco è sicuramente collegato al diffondersi dell’influenza diretta e indiretta dello Stato Islamico nel Nord Africa: dal Sinai, alla Libia, ora alla Tunisia.

Questo salto qualitativo non avviene come un’estensione diretta delle forze dello Stato Islamico, bensì come risultato del suo prestigio e de suo successo. Bastano alcuni emissari, che trovano in loco dei reduci e una massa di giovani attirati daI prestigio, dalle armi e dagli altri mezzi che lo Stato Islamico riesce a mettere a disposizione delle reclute e dal soldo che distribuisce.

Di fronte a questi sviluppi la compagine civile e politica della Tunisia, come hanno dimostrato le reazioni all’attacco del museo del Bardo, è destinata a mostrarsi di gran lunga più compatta e consistente di quella di altri paesi arabi e sarà, da sola, un argine potente al fanatismo dei jihadisti e al loro uso spregiudicato del terrore.

Tuttavia, da un lato, l’escalation del fanatismo islamista in Tunisia e la sua maggiore integrazione nel contesto regionale non varrà certo a facilitare la difficile fase di transizione alla democrazia che si è inaugurata con le elezioni e la nomina del governo di HabibEssid.

Dall’altro, l’avanzata del jihadismo in Tunisia preannuncia una sua avanzata in Algeria ed, eventualmente, una sua penetrazione in Marocco. Perciò, un accrescimento oggettivo dei rischi di tracimazione dell’instabilità in Europa, in particolare in nell’Europa del Sud.

Qui l’articolo completo

Roberto Aliboni è consigliere scientifico dello IAI.

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