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La diaspora nel PD continua: intervista con Rita Castellani

Dopo la decisione di Luca Pastorino, deputato vicino a Pippo Civati, di dimettersi dal PD e di aderire al progetto Rete a Sinistra, a seguito del contrasto con la candidatura di Paita (PD) in Liguria, anche in Umbria si prepara qualche cosa di simile. Rita Castellani, membro della Direzione Nazionale del PD, eletta con la mozione Civati si è dimessa e ha deciso di aderire ad un nuovo progetto locale, “Possiamo”. Di seguito l’intervista che mi ha rilasciato:

Che cosa ti ha spinto a lasciare il PD? Il problema è davvero solo Renzi?

Nonostante il forte personalismo che Renzi, così come i suoi più convinti sostenitori, non perde occasione di mettere in campo, in realtà il segretario rappresenta solo la punta dell’iceberg, ma il problema è l’iceberg. L’iceberg è lo snaturamento progressivo dell’identità politica del PD, così come era stata concepita al momento della sua fondazione: e cioè quella di un partito alternativo alla destra, in cui potessero fondersi le diverse anime della sinistra democratica.

In questo ultimo anno abbiamo assistito a giravolte continue all’interno delle minoranze del PD, Bersani, Cuperlo e Civati. Tutti scontenti rispetto alle proposte del Governo eppure… eccetto Civati in diverse occasioni, le polemiche rientravano e tutti a votare compattamente. Qual è secondo te il vero problema del PD? Perché malgrado le tante divergenze queste minoranze alla fine si allineano?

Come dicevo, si è proprio perso l’orizzonte di riferimento. Ormai le parole vengono usate a caso, per poi arrivare a dire che non significano più niente. Perfino concetti fondamentali come “democrazia rappresentativa” sono stati svuotati di significato. Eppure un principio fondante delle democrazie liberali è il famoso “No taxation without representation”, ma con legge elettorale e riforme costituzionali proposte dal PD la rappresentanza di chi paga maggiormente le tasse, che sono poi sempre lavoratori dipendenti e pensionati, è fortemente compressa, mentre le tasse certo non diminuiscono. L’obiettivo sbandierato è la famosa “governabilità”, che in realtà si risolve così in governo di pochi a favore di pochi. Probabilmente anche le minoranze alla fine preferiscono ritrovarsi tra quei “pochi”, piuttosto che tra i molti senza voce

Si tratta di calcolo politico, interessi?

Mah, calcolo politico mi sembra già una parola importante, con tutti questi parlamentari che saltano da un gruppo all’altro come canguri, o che si adattano ad alleanze improbabili in nome di maggioranze solo numeriche, del tutto immemori degli impegni presi con gli elettori. E non mi si obietti che non c’è il vincolo di mandato: un conto è il mandato, un conto l’impegno e la responsabilità (il famoso precetto “con disciplina e onore” della Costituzione). Interessi? Sicuramente. E che siano traversali, considerando le attuali maggioranze parlamentari, mi sembra indubbio.

Passando ora alla questione delle riforme. Tra le tante iniziate e in discussione è passata quella del lavoro, il Jobsact. Che cosa non ti convince di questa riforma? Sei un’economista quindi potrai darci un parere da esperta in merito. Aumentano o diminuiscono queste garanzie?

Ovviamente diminuiscono. Non esiste più la possibilità di reintegro nel posto di lavoro, a meno di dimostrare che il licenziamento è stato discriminatorio. Il datore di lavoro può licenziare per qualunque causa, giusta o ingiusta, o anche senza causa: e se il lavoratore vuole il risarcimento previsto dalla legge, deve rivolgersi al giudice. In alternativa, può accontentarsi della metà.  Di fatto il lavoro a tempo indeterminato non esiste più. Le famose “tutele crescenti” si riferiscono al fatto che il risarcimento è maggiore per un maggior numero di anni lavorati. Ma la cosa davvero grave è che, a fronte di questi cambiamenti nel mercato del lavoro, non c’è stata una corrispondente riforma del welfare che, analogamente a quanto avviene in tutta Europa, garantisca automaticamente un reddito minimo di sopravvivenza, una volta esaurito il sussidio di disoccupazione. In un mercato del lavoro asfittico come quello italiano, in cui i posti di lavoro, in conseguenza della più che decennale assenza di investimenti da parte delle imprese, non crescono (e anzi diminuiscono) tutto ciò si sta traducendo immediatamente in una ulteriore, generale compressione dei salari.  Perfino i ricercatori del FMI si sono accorti recentemente che l’indebolimento del potere contrattuale dei lavoratori determina una maggiore disuguaglianza nella distribuzione dei redditi, come è anticipato in un articolo di Florence Jaumotte and Carolina Osorio Buitron.

Le minoranze di “sinistra” che hanno avallato la proposta non hanno perso del tutto credibilità rispetto al loro elettorato tradizionale? O forse era questo lo scopo e puntare a “un nuovo elettorato”?

Francamente non saprei se esiste più un elettorato “tradizionale” da qualche parte; a meno che non si trovi nascosto tra i tanti che hanno rinunciato a votare. Del resto l’attuale Presidente del Consiglio è stato votato solo dai cittadini di Firenze, che hanno il privilegio di avergli fornito l’occasione di imporsi, con una brutale manovra di palazzo, a tutta l’Italia. Anche nelle riforme costituzionali e della legge elettorale in itinere, mi sembra che gli elettori siano visti piuttosto come un “male necessario” da contenere per arrivare all’esercizio del potere, che ora è di moda chiamare, appunto, “governabilità”.

Passato il Jobsact, ora si discute di riforma del Senato e di legge elettorale. Bersani ha fatto muro, i suoi si stanno già ritirando e ancora una volta sarà forse Civati l’unico a rimanere su quella linea di dissenso, ti chiedo, ma il problema della legge elettorale sono i 100 nominati?

Figuriamoci! I 100 nominati sono la ciliegina sulla torta. Un sistema a liste bloccate con preferenza è la fiera dei “capibastone”, ovvero dei signori delle preferenze, che con un elettorato sfiduciato e ridotto alla metà degli aventi diritto hanno gioco ancora più facile. Aggiungiamo l’assoluta permeabilità delle liste a qualsivoglia alleanza e la possibilità di candidarsi in più collegi, e lo svuotamento della rappresentanza democratica è bello e servito. Francamente, non vedo come una roba del genere possa essere emendabile. Ma non sono un tecnico della legislazione, e magari invece si potrà. Certo, però, non sarà ridurre i nominati da 100 a 50 che cambierà la sostanza della legge.

Ho approfittato della tua pazienza perché sei stata un membro importante di questa minoranza ed oggi hai lasciato il PD e si può dire che Pippo Civati, dopo l’uscita anche di Pastorino, sia rimasto un po’ isolato nel coro. Perché non sei rimasta per aiutarlo da dentro? Continuerà la vostra collaborazione con il nuovo progetto “Possibile”?

Ma io non rivesto alcun incarico istituzionale e la permanenza in Direzione Nazionale si è rivelata, per me, una inutile perdita di tempo. Non esiste discussione che si possa sperare porti a una qualche riflessione su quanto proposto. Le riunioni della Direzione sono ormai solo una occasione per il Segretario Presidente di approfittare dello streaming, nel caso si sentisse in deficit da esposizione mediatica. Ovviamente le mie pur limitate competenze restano a disposizione del progetto “Possibile” che, fin dall’inizio, è stato pensato come autonomo e proiettato verso l’esterno rispetto al PD.

In Umbria ora sei una probabile candidata con questa nuova etichetta, sarà presto un partito o solo un esperimento associativo prestato alla politica?

Più che un esperimento associativo, lo definirei un inizio associativo sulla strada verso una nuova casa della sinistra. Proviamo, come in Liguria e in Sicilia, ad interpretare le specificità territoriali per fissare i “nodi” di una rete nazionale. Insomma, un approccio bottom up, per la prima volta in Italia, dove si è sempre aspettato la “linea dal nazionale”.

Pensi che ci siano margini di cambiamento reale a sinistra, di ricompattamento e di sfida al sistema attuale?

Se non ci sono, o se non li troviamo, l’Italia è perduta. E non sarà colpa dell’euro, o della Merkel, o delle banche, ma nostra.

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