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Italicum tra bufale, fuffa e retorica stantia

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

La riforma della legge elettorale continua scuotere ed affascinare il mondo politico. La stessa passionalità, però, pare non contagiare i cittadini, nonostante le ripercussioni che la materia elettorale ha sul funzionamento del nostro sistema democratico.

Ma la crisi, al netto dei proclami, continua a far sentire i suoi effetti sull’economia reale e sull’occupazione e fa sì che questioni cruciali, come la tutela dei principi fondanti posti a garanzia dei nostri diritti e delle nostre libertà, vengano percepite come questioni di second’ordine.

Le contestazioni che si sono manifestate verso l’Italicum sono tra le più disparate. Esse mutano, s’irrobustiscono ed evolvono non solo nell’arco di un passaggio parlamentare o in base al colore della fazione o della componente politica da cui provengono, ma nell’arco di un’intervista.

Molte sono pregnanti e fondate. Altre, che rischiano di fare il gioco di un Renzi esclusivamente interessato al risultato e non già al funzionano delle nostre istituzioni, ripetono lo stanco stornello che intona alla sacralità ed all’inviolabilità della Costituzione che rappresenta il modo peggior, tra i tanti possibili, per opporsi ad una riforma tesa esclusivamente a consolidare le posizioni di potere esistenti.

In pochi, e spesso con scarsa convinzione, battono però il tasto sugli effetti nefasti che la nuova normativa elettorale avrebbe sulla già esigua partecipazione alle urne, specie in uno scenario politico balcanizzato – quasi una sorta di riedizione di modello messicano – che la legge elettorale non farebbe altro che destrutturare ulteriormente.

Si continua a derubricare alla voce delusione/disaffezione il crescente astensionismo senza considerare che questo superata ormai da qualche tempo la soglia fisiologica (in Italia ma anche in molti altri Paesi europei) e non può più essere considerato un mero atteggiamento passivo del cittadino – elettore.

L’astensione è ormai a tutti gli effetti una forma di “aggressione passiva”, oserei dire non violenta, alla (non) vita politica ed ad un sistema che comprime sempre più gli spazi decisionali, di partecipazione e di discussione.

Il non voto è quindi un atto di delegittimazione non solo verso la classe politica e più in generale dirigente del Paese, ma verso le stesse istituzioni che senza la legittimità elettorale si trasformano in tempi sconsacrati della democrazia.

Come può una legge elettorale, o peggio ancora una riforma costituzionale, non cogliere l’inderogabile esigenza di ampliare la base del consenso e favorire una ripresa della partecipazione? Non sono inerzie, né quisquilie per gufi.

Il cambiamento è tale solo se coglie le istanze che emergono dalla società, se è in grado di interpretare e dare forma alle trasformazioni che l’incessante e rapido trascorrere del tempo impone.

Altrimenti è un vuoto esercizio retorico. E’ la retorica di questi tempi non dura oltre lo spazio di cinguettio.

Stefania Craxi


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