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Le ragioni di Hillary e le vendette altrui

Le qualità di Hillary Clinton non sono in discussione: in America ed in Cina, in Medio Oriente ed in Europa, la proverbiale capacità di questa donna straordinaria nell’approfondire i dossier e nell’impadronirsene riplasmandoli è conclamata. Ciò nonostante appena un qualche cosa la tocca si scatena negli Stati Uniti e a seguire in Europa una sorta di ordalia: troppo bella, troppo intelligente, troppo riservata, troppo Clinton… troppo tutto insomma.

La fiducia che gli americani nutrono nei confronti di Hillary Clinton non è stata messa in discussione dall’utilizzo che l’ex First Lady ha fatto di un account privato di posta elettronica durante il suo incarico di Segretario di Stato degli Stati Uniti. Lo confermano sondaggi di opinione e indagini di accreditati istituti di ricerca indipendenti in America, che la vedono comunque favorita rispetto a qualsiasi altro candidato, di matrice repubblicana o democratica, potenzialmente in lizza in questo stadio della corsa alle elezioni presidenziali del 2016.

Ciò accade nonostante il tema della fiducia sia stato un aspetto che ha fortemente orientato il dibattito politico sulla figura di Hillary Clinton nell’arco della sua ormai ventennale carriera pubblica. Gli avversari politici hanno sempre cercato di sfruttare la percezione che gli americani hanno dell’affidabilità della Clinton come una delle armi più potenti contro di lei, facendo leva su alcuni lati del suo carattere: la propensione all’autocontrollo, la riservatezza, il desiderio di tutelare la vita privata nell’avvicendarsi dei diversi ruoli pubblici.

Già nel 1996, quando era First Lady degli Stati Uniti, un’indagine del no-partisan Pew Research Center ha messo in luce gli aggettivi più utilizzati dagli americani intervistati per descriverne la personalità. Se da un lato, i suoi oppositori l’hanno principalmente definita “disonesta”, dall’altro lato, i suoi ammiratori hanno prediletto aggettivi quali “forte” e “intelligente”. Un anno fa, quando ancora gli americani la consideravano più uno stimato ex Segretario di Stato che un potenziale candidato alle elezioni presidenziali del 2016, da un’altra indagine del Pew Research Center la sua “onestà” è stata riconosciuta dal 30% dei Repubblicani e dall’80% dei Democratici.

Tra gli stessi colleghi di partito, dunque, non sussiste un giudizio unanime sull’affidabilità della Clinton, ma in linea generale il tema della fiducia non è stato oggetto di strumentalizzazioni interne come dimostra, almeno fino ad oggi, la vicenda dell’account privato di posta elettronica. Quest’ultima ha sì turbato alcuni esponenti dei Democratici, ma destando più che altro preoccupazioni per la “sponda” offerta agli avversari politici e per la lentezza con cui lo staff della Clinton ha gestito la vicenda, a testimonianza di una carente organizzazione sul versante della campagna elettorale.

I Democratici che vorrebbero candidati alternativi o gli stessi che stanno valutando di scendere in campo per le elezioni (tra cui l’ex governatore del Maryland, Martin O’Malley, o il senatore Bernie Sanders del Vermont) non ritengono di dover porre la vicenda dell’account privato al centro del confronto politico.

Seppur minoritari, non mancano gli esponenti del Partito Democratico che l’hanno criticata aspramente nel corso della sua carriera politica, oggi ancor più severi nel giudicare l’ex Segretario di Stato. Primo fra tutti, Richard Harpootlian – ex capo del Partito Democratico in South Carolina – il quale ha dichiarato di non capire perché gli americani dovrebbero accogliere la richiesta di fiducia avanzata dalla Clinton nel corso di una conferenza stampa avvenuta, tra le altre cose, ben 10 giorni dopo la denuncia della vicenda.

Al riguardo, un sondaggista esperto come il direttore del Pew Research Center, Andrew Kohut, ritiene che la richiesta di fiducia della Clinton potrebbe essere sufficiente. Secondo l’esperienza di Kohut, la questione sull’account privato non susciterà una grande reazione pubblica, a meno che non emergano altri ed eventuali fatti realmente lesivi per l’immagine dell’ex Segretario di Stato. Nel caso di un personaggio così conosciuto come la Clinton, gli elettori potrebbero scegliere una situazione che non è garanzia di perfezione, in cui probabilmente non potranno “fidarsi” di lei ritenendosi tuttavia soddisfatti del suo operato.

I numerosi sondaggi di opinione condotti successivamente alla nascita della controversia sull’account privato sembrano confermare la visione di Kohut. Tra gli elettori alle primarie, è finora emerso un sostegno pressoché inalterato alla Clinton, che mantiene una posizione di vantaggio sugli altri potenziali candidati democratici perfino su quelli più “solidi” come O’Malley. Ma soprattutto nei confronti di qualsiasi altro competitor repubblicano in questa fase iniziale della corsa alla Casa Bianca, con 9 americani su 10 che dichiarano di avere una conoscenza tale della Clinton per formarsi un’opinione sulla sua candidatura.

(1/continua)

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