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Che cosa penso di Charlie Hebdo (e dintorni). Il saggio di Padre Occhetta

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Per quale motivo l’attentato terroristico del 7 gennaio 2015 a Parigi ai giornalisti della rivista Charlie Hebdo è destinato a segnare un prima e un dopo, per il giornalismo occidentale, riguardo al diritto di espressione e alla libertà di stampa? Esso mette in luce una scelta culturale: per l’Occidente, la libertà di espressione si fonda solamente sulla libertà, o si definisce anche in relazione ai princìpi di uguaglianza e di fraternità? È qui la radice della crisi. Il sistema dei media è chiamato a coniugare il principio di libertà con quello di responsabilità. È la responsabilità personale e sociale — che non si impone con una legge, ma si ascolta come fosse un appello interiore — a formare un servizio pubblico che favorisca l’integrazione culturale, permetta alle religioni di dialogare e cerchi un equilibrio sulle autolimitazioni della satira per i temi etnici e religiosi.

Anche altri attentati – ha fatto notare Claudio Magris -, come quello di Tolosa del 2012 in cui sono stati uccisi tre bambini ebrei e un professore, o come quelli in Nigeria che hanno causato migliaia di vittime, uccise quasi in contemporanea ai giornalisti francesi, devono suscitare lo stesso sdegno. Altrimenti de-contestualizzeremmo il diritto di espressione, che diventerebbe “un attentato a una libertà e a un diritto più grandi, alla libertà e al diritto di vivere, alla vita delle persone”.

Ma c’è di più. Il diritto inviolabile di espressione, riconosciuto dalla Dichiarazione dei Diritti Umani del 1948 e dalle principali Costituzioni democratiche, va definito insieme al diritto di libertà religiosa. È quello che il Papa ha sottolineato durante il viaggio nelle Filippine, quando ha ribadito – utilizzando l’immagine del pugno come reazione all’offesa della dignità di una persona a cui si vuole bene, come nel caso della propria madre – che la libertà di espressione non è mai assoluta.

C’è poi un terzo principio, che ricordava spesso il card. Martini, quando dialogava con l’islam: il principio di reciprocità, che permette ai cristiani di professare la propria fede in Paesi a maggioranza islamica. Le religioni e la politica, ovunque e a tutti i livelli, devono infatti lavorare insieme per il rispetto della credenza dell’al- tro, per far crescere il livello di umanità e di convivenza.

Il termine “libertà”, che rischia di essere interpretato in molti modi, deve essere fondato sul diritto che la promuove e la tutela. In questo senso, ciò che permette di rimanere liberi pur obbedendo alle leggi di una comunità può essere soltanto il diritto che le libertà di tutti siano compossibili, di modo che non ci sia qualcuno “più” libero di un altro, ma tutti siano ugualmente liberi. “La maturità infatti significa uscire dall’auto-referenzialità per entrare nella relazionalità. In questo senso, Kant insegna che è necessario — ed è la massima propria del diritto — agire in modo che l’altro non sia mai mezzo, ma fine delle mie azioni; in termini di diritto, che non sia mai un oggetto del quale mi servo, ma un soggetto che accolgo e rispetto nella sua alterità, di fronte alla possibilità reale che gli uni per gli altri possiamo essere lupi, e che il mondo divenga una guerra di tutti contro tutti”. In altri termini, la libertà di ciascuno finisce dove inizia quella dell’altro.

È interessante osservare che negli Stati Uniti e in Inghilterra i giornali non hanno pubblicato quelle vignette che avrebbero potuto ledere il sentimento religioso dei lettori.

“Ma la libertà di espressione – ha affermato Ferruccio de Bortoli, direttore del Corriere della Sera – non può avere limiti se non nella coscienza di ognuno. Uno stato di diritto non disciplina per legge la libertà di espressione, anzi tutela il diritto a essere orgogliosamente irresponsabili. Per questo, ad esempio, sono contrario alla condanna, in Francia, del comico Dieudonné per essersi schierato dalla parte dei terroristi e all’introduzione, in Italia, del reato di negazionismo. La cifra dell’Occidente è proprio quella di tutelare anche chi ha le opinioni più aberranti e di contrastarlo con la forza delle idee. Questa è la migliore arma democratica che possiamo opporre contro chi ci combatte”.

Questa posizione però è discutibile e non condivisa da buona parte della stampa; altrimenti, l’imponente manifestazione di Parigi rappresenterebbe la fine della libertà di diritto, l’esaltazione del principio (astratto) di espressione e l’esasperazione del soggettivismo. È per questo motivo che le forme di propaganda dell’Isis, soprattutto i video, non verranno più mandate in onda da RaiNews e da altre testate minori.

Rimane un’ultima questione: in che modo andrebbe definita la libertà (di espressione), tenendo conto della fraternità e dell’uguaglianza? Per quale motivo gli esponenti di una cultura, che si vuole inclusiva per tutti, si rivelano come inclusivi soltanto per coloro che la pensano come loro? L’identità religiosa, i simboli e i luoghi religiosi sono una ricchezza per uno Stato democratico?

Il conflitto in corso, “che va a toccare non più i grandi bersagli, simbolo di ricchezza e di potere (Twin Towers, la stazione di Atocha in Spagna, la metropolitana di Londra), ma la vita comune, si è riscoperto unito (anche più del necessario, a vedere certi volti della marcia di Parigi) nel rivendicare la propria libertà, di cui la stampa è la vestale più importante ed evidente»15. È quindi necessario chiarire il termine “libertà di espressione”, per non svuotare la parola dal suo significato; è utile precisare libertà “di” cosa e “da” cosa, e se è “libertà da” (svincolata dal diritto) o “libertà per” (l’altro).

Resta valido un insegnamento di un’autorità religiosa musulmana, che ha ricordato che l’Occidente deve passare per una rivoluzione spirituale: “Credo che l’Occidente sia colpevole di sette grandi peccati: benessere senza lavoro; educazione senza morale; affari senza etica; piacere senza coscienza; politica senza princìpi; scienza senza responsabilità; società senza famiglia; e ne aggiungerei un altro: fede senza sacrificio. Qual è la soluzione? Sostituire i senza con altrettanti con”.

È in questa prospettiva che ci si divide non tra uomini religiosi e non, o tra credenti e non credenti, ma tra esseri morali e non, tra coloro che si fanno carico della dimensione della fraternità e coloro che la rifiutano. Il futuro è solo nella convivenza.

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