Cosa hanno da guadagnare le società italiane del petrolio dall’accordo siglato tra l’Iran e cinque tra le potenze nucleari internazionali (Cina, Francia, Germania, Russia, Regno Unito e Stati Uniti)? Abbastanza, secondo i broker che in questi giorni hanno emesso report sul settore per immaginarne i cambiamenti.
PRIMI PASSI VERSO L’ACCORDO
Si tratta, certo, di mere ipotesi, dal momento che i dettagli e i tempi dell’accordo presentano ancora incontri molto fumosi. A oggi si sa che questa intesa ha due obiettivi: assicurare che l’Iran faccia un uso pacifico del nucleare e abolire le sanzioni verso quel Paese da parte dell’Occidente. In sostanza per ottenere di non avere più sanzioni l’Iran dovrà accettare limiti alla produzione di uranio arricchito: quali e quanti si saprà entro giugno. Solo dopo le sanzioni saranno rimosse e solo se le condizioni saranno rispettate.
GLI EFFETTI SUI TITOLI ITALIANI DEL PETROLIO
Ma l’aver trovato un punto di incontro è sufficiente, secondo Mediobanca Securities, per fare previsioni sulle nostra società. “Stimiamo che l’Iran sarebbe in grado di aumentare le esportazioni di circa 0,8-1 milioni di barili al giorno – scrive Mediobanca secondo quanto riporta Mf – aggravando ulteriormente l’eccesso di offerta sul mercato globale. Ma le caratteristiche di alta densità/alto tenore di zolfo di buona parte del greggio iraniano si adatterebbero bene con la capacità di potenziamento delle centrali di Saras, offrendo probabilmente interessanti sconti rispetto ad altri tipi standard. Detto questo, Saras ha ancora 200 milioni di euro di debiti verso l’Iran, già inclusi nelle nostre stime. Stimiamo che ogni 100 milioni ulteriori avrebbero un impatto negativo di 0,1 euro sul nostro target price”. Poco o nulla. Rilevante invece l’impatto per Eni che in Iran è presente da sempre e che, con la rimozione delle sanzioni, potrebbe ampliare le proprie attività e vedere riconosciuti i crediti non ancora pagati per alcune centinaia di milioni di euro.
… E DEL GAS
Non solo petroliferi puri. Equita stima un impatto positivo su Landi Renzo, produttore di impianti a gas, che “dal 2012 ha registrato una fortissima contrazione del fatturato in Iran a causa delle sanzioni”. La domanda per gli impianti a gas in Iran è tornata a crescere “nonostante le difficoltà legate alla situazione di tensione internazionale, con alcuni costruttori europei che stanno rientrando nel mercato”.
Certo, l’Iran pesa solo per il 2% nel fatturato di Landi Renzo e per il 2015 non ci si potrà allontanare da questa cifra “mentre un’accelerazione più decisa è attesa nel 2016/2017 con un fatturato complessivo di 8/12 milioni rispetto a un picco di 25-30 milioni del 2011. La revoca delle sanzioni potrebbe accelerare il recupero nell’area”. Nel 2014, secondo Banca Akros, il fatturato della società nel Paese è ammontato a 6 milioni, con ricavi calanti dall’inizio delle sanzioni. “Assumendo un ritorno ai vecchi tempi – scrive ancora Mf – i ricavi e l’ebitda potrebbero salire rispettivamente di 26 e di 6,6 milioni in un paio di anni. Per gli analisti, l’effetto Iran non è ancora pienamente scontato e resta un upside potenziale del 12,5%”.
IL PESO DELLE SANZIONI
A causa delle sanzioni a partire dal 2006 sono stati persi oltre 15 miliardi di euro di esportazioni, secondo i dati elaborati da Sace, che si occupa di assicurazione del credito delle imprese all’estero: solo la “la meccanica strumentale, che rappresenta oltre la metà dell’export italiano verso l’Iran ha subito perdite per oltre 11 miliardi dall’inizio delle sanzioni (oltre il 70 per cento della perdita complessiva). Nel triennio 2014-2016 l’Italia esporterà nel Paese beni per appena 3 miliardi, a fronte dei 19 che avrebbe potuto registrare in assenza del regime sanzionatorio”.