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Perché la musica in streaming di Apple preoccupa l’Ue

Apple nel mirino dell’Unione europea per questioni antitrust: a suscitare i timori della Commissione Ue è il nuovo servizio (dovrebbe essere pronto in estate) di Apple per la musica in streaming, che si affiancherà ai già noti download di iTunes. Tutta l’industria musicale si sta muovendo verso le piattaforme in streaming a scapito del download e Apple, per non restare indietro, ha comprato l’anno scorso per 3 miliardi di dollari Beats Music, servizio musicale online in streaming fondato da Jimmy Iovine e dalla star hip hop Dr. Dre.

L’INDAGINE DELL’UE

Il Financial Times e il New York Post hanno riportato, in base a fonti confidenziali, che la Commissione europea ha inviato alle case discografiche e alle società della musica digitale dei questionari per cercare di capire i tipi di accordi stipulati con Apple e se questi potrebbero cercare di limitare, in modo sleale, i servizi concorrenti gratuiti e finanziati dalla pubblicità in base al modello freemium (versione base gratis e versione con più opzioni a pagamento). Tale richiesta di informazioni è solo un primo passo verso l’apertura di un’inchiesta e non significa necessariamente una successiva indagine formale dell’Antitrust, ma se la Commissione troverà che Apple ha adottato comportamenti scorretti potrebbe chiederle una correzione di tali comportamenti e anche imporle delle multe.

La stampa americana è molto sarcastica nel riportare questa manovra della Commissione: “Deve essere uno scherzo: il servizio di streaming di Apple ancora non esiste e già preoccupa i regolatori europei”, scrive il sito Sgr.com.

Secondo il New York Times, le autorità Ue hanno mandato i questionari alle etichette discografiche e a diverse “aziende dello streaming rivali di Apple” per raccogliere prove. Infatti, a differenza dei servizi concorrenti, che lasciano la possibilità di avere l’accesso gratuito, il servizio di Apple dovrebbe essere solo a pagamento e l’Antitrust europeo vuole essere sicuro che Apple non acquisisca un vantaggio sleale sui rivali che adottano questo modello freemium. “Non è un buon momento per essere una grande azienda americana in Europa”, commenta il NYTimes, che ricorda anche i guai di Google con l’Antitrust Ue.

COLOSSI AMERICANI NEL MIRINO

Un’analisi del Wall Street Journal è anche più pungente. Bruxelles userebbe i procedimenti antitrust per raggiungere risultati che non sa ottenere altrimenti, per esempio per far avanzare il progetto del mercato unico digitale. Con questo obiettivo il commissario alla Concorrenza Margrethe Vestager avrebbe avviato un’indagine per capire che cosa blocchi l’e-commerce trans-frontaliero sul mercato unico: il primo imputato sarebbe il geo-blocking, per cui le aziende (per esempio Amazon e Netflix) applicano prezzi e offrono prodotti diversi nei paesi Ue.

“E’ vero che l’Unione europea è lontana dall’essere un compiuto mercato unico in cui il settore privato possa trovare il pricing migliore per i beni e servizi venduti online”, commenta il Wsj, “ma la campagna contro il geo-blocking è solo un tentativo di intimidire le aziende costringendole a creare il single market che Bruxelles non è capace di formare da sola”. Il problema sono le tante e diverse leggi nazionali sulla proprietà intellettuale, scrive il giornale, ricordando che l’indagine antitrust del 2007 sul servizio iTunes di Apple in merito al geo-blocking si è chiusa quando Bruxelles si è scontrata col fatto che le molteplici leggi territoriali sul copyright rendevano difficile per Apple offrire le stesse canzoni ai consumatori di mercati diversi. L’indagine odierna sul servizio in streaming ripeterebbe lo stesso errore.

“Una vaga ma intimidatoria terminologia nella strategia Ue che parla di regolare le piattaforme online” prende di mira aziende (come Google, Facebook, Apple) che pure vogliono “potenziare il commercio digitale all’interno dell’Ue”, scrive il Wsj. Che conclude: nella digital single market strategy dell’Europa c’è bisogno di più “market” e meno “single” imposto dai burocrati. “Prima Bruxelles se ne accorge, prima i regolatori si faranno da parte e permetteranno all’economia online di fiorire”.

LE DENUNCE

C’è però da dire che la Commissione di solito si muove inviando i questionari per la raccolta di informazioni quando riceve delle denunce e, anche se nessuna testata fa nomi, è chiaro che qualche rivale di Apple nello streaming deve aver stimolato l’indagine dell’Ue – e potrebbe benissimo essere anche un’azienda americana. A quel punto l’Ue si attiva per verificare se esistono i comportamenti anti-concorrenziali ipotizzati: in questo caso il timore è che Apple possa abusare della forza che le deriva dalle sue dimensioni, dalla posizione, dalle capillari relazioni e dall’influenza del marchio per convincere le etichette ad abbandonare servizi rivali che hanno opzioni gratuite come Spotify, e il cui business è basato sugli accordi di licensing con le aziende della musica, a favore dello streaming targato Apple, che è solo a pagamento e potrebbe promettere ritorni più alti ai produttori. Si tratterebbe insomma di evitare un caso simile a quello degli e-book, quando Apple è stata multata per 450 milioni di dollari dopo essere stata accusata di essersi accordata con cinque editori per tenere alti i prezzi degli e-book.

LO STREAMING DI APPLE

Apple dovrebbe lanciare il nuovo servizio di streaming musicale con Beats Music in estate. I concorrenti sono con aziende come Spotify, Deezer e Google. Secondo le prime indiscrezioni, il servizio di Apple offrirà musica senza limiti al prezzo di 10 dollari al mese e verrebbe unito in un unico pacchetto con l’esistente applicazione per il download musicale iTunes. Jimmy Iovine, co-fondatore di Beats che si sta occupando delle trattative con le etichette discografiche, ha sempre criticato apertamente i servizi musicali gratuiti, sostenendo che non remunerano adeguatamente la musica registrata.

Che le rivali di Apple si preoccupino non stupisce, ovviamente. Uno studio americano di Midia Research già ha indicato che l’ingresso di Apple nel settore della musica in streaming potrebbe sovvertire i rapporti di forza dei soggetti esistenti, da Spotify al recente Tidal, appoggiato da star come Madonna e Jay Z. Per Midia Research il bacino d’utenza potenziale di Apple Beats sarebbe di circa 75 milioni di utenti, più dei 60 milioni di utenti di Spotify (15 milioni per la versione a pagamento) e dei 17mila iscritti (tutti paganti) di Tidal.

APPLE PIGLIATUTTO

Apple è talmente abile nel garantire il successo alle sue iniziative che persino in Cina sta avanzando a passi da gigante nonostante la concorrenza dei brand locali come Xiaomi e Huawei che tanto danno filo da torcere invece al produttore sud-coreano Samsung. Gli ultimi dati di Kantar Worldpanel ComTech rivelano che Apple ha una quota del 27,6% del mercato degli smartphone in Cina nei tre mesi terminati a febbraio, un vero record in un paese che solo ora sta forgiando la sua classe media e dove i player nazionali godono di privilegi. Il successo di Apple è trainato dalla domanda nelle grandi città e dal nuovo iPhone 6, il cellulare più venduto in Cina negli scorsi tre mesi. Xiaomi col suo RedMI Note è al secondo posto, ma al terzo c’è di nuovo Apple con l’iPhone 6 Plus. Ora più che mai, Apple non ha davvero nulla da temere dai cloni cinesi.

 



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