Ci sono tutti i presupposti perché Barack Obama e Matteo Renzi confermino la tradizionale e solida buona intesa tra Usa e Italia, nel loro incontro nello Studio Ovale venerdì 17 aprile (tranquilli, negli Stati Uniti il numero che porta male è il 13). Ma Matteo con Barack deve superare l’handicap dei precedenti.
Obama mostrava un’intolleranza quasi fisica rispetto a Silvio Berlusconi, di cui non sopportava l’esuberanza: le immagini del G8 dell’Aquila nel luglio 2009 o del G20 di Pittsburgh nel settembre dello stesso anno lo dicono molto meglio dell’ovvia reticenza in merito delle dichiarazioni ufficiali e sono parte della spiegazione della rarefazione dei contatti dopo di allora. Il presidente americano scelse come interlocutore italiano, a parte le occasioni multilaterali, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che invitò pure a prendere un tè alla Casa Bianca, nel tentativo di capire che cosa stesse succedendo in Italia, e pure in Europa.
Ai successori di Berlusconi, invece, Obama aprì un credito di fiducia: Mario Monti ed Enrico Letta non erano indiziati di esuberanza fisica e avevano l’uno l’autorevolezza accademica e l’altro l’accuratezza tecnocratica per portare alla Casa Bianca un’immagine dell’Italia diversa, più positiva – all’epoca, si sarebbe detto ‘sobria’ – e più credibile. Ma il credito di fiducia americano verso di loro non trovò riscontro in Italia: i due premier finirono travolti da manovre politiche e si rivelarono interlocutori effimeri.
Renzi, che con Monti e Letta ha in comune il fatto di non essere stato ‘legittimato’ come premier dal voto popolare, deve quindi convincere gli americani di esserci per durare – e questo gli può essere relativamente facile, nell’attuale panorama politico italiano – e per fare quel che dice di volere fare – e questo gli è meno facile. Inoltre, Matteo deve tenere a freno l’esuberanza, ché Obama non è uomo da pacca sulle spalle come Clinton né da battute come Bush (che non sempre le capiva, ma ne rideva).
Sul piano della sostanza, almeno dal 2012 tra Usa e Italia c’è sintonia sulla necessità di mettere l’accento sulla crescita più che sul rigore in economia e sulla creazione di posti di lavoro. Solo che loro riescono a farlo e noi in Europa molto meno di loro e in Italia, almeno fino a ieri, al 31 marzo, per nulla.
Sulla scena internazionale, l’Afghanistan e la lotta al terrorismo, l’accordo sul nucleare con l’Iran e la crisi in Ucraina vedono l’Italia in sintonia sostanziale, o comunque dichiarata, con gli Stati Uniti. Renzi proverà a tirare per la giacca Obama sulla Libia, ma è da escludersi che ne ottenga impegni, al di là della condivisione della gravità della situazione e della necessità di addivenire a un’intesa tra le parti. Il presidente americano non vuole finire nell’ennesimo pantano.