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Sanità, ecco perché il sistema regionalizzato va cambiato

Se il Governo intende fare un salto di qualità in un settore chiave come quello sanitario, allora deve una volta per tutte riformarne il sistema regionalizzato. Se davvero il premier Matteo Renzi e la ministra Beatrice Lorenzin vogliono puntare su innovazione tecnologica e percorsi di appropriatezza diagnostica e terapeutica, la strada da seguire è quella di una centralizzazione delle politiche. La pensa così il professore Massimo Colombo, ordinario di Gastroenterologia all’Università degli Studi di Milano, che in un recente convegno organizzato da Farmindustria presieduta da Massimo Scaccabarozzi e svoltosi al Cosmofarma di Bologna, ha offerto alcuni spunti per una possibile riforma sanitaria.

IL CASO DELL’EPATITE C

Quel che sta accadendo attorno al virus dell’epatite C che colpisce circa 1,2 milioni di italiani, è emblematico di quanto accade nella sanità italiana. Il professor Colombo conosce bene questa “epidemia silenziosa” che da qualche tempo ha trovato nei nuovi farmaci senza interferone una innovativa possibilità di cura. “Oggi lo scenario è diverso – ha spiegato il docente al convegno di Farmindustria -, c’è la terapia orale con efficacia quasi al 100%, una tollerabilità assoluta e una tossicità della cura pressoché pari allo zero”. La medicina ha fatto passi da gigante, ma l’economia non è ancora riuscita a stargli dietro. Tanto meno le casse degli Stati, che ancora non possono permettersi di sborsare certe cifre per questi nuovi farmaci. “Il problema è che oggi a fronte di una assoluta efficacia antivirale di queste cure – ha continuato Colombo – siamo costretti ad applicarle solo ai casi più gravi per ragioni di distribuzione di risorse. I benefici sono ovvi, ma si verificano su pazienti che restano ospedalizzati”. Si tratta quindi di una “strategia non cost-effective”, dal momento che “lascia il paziente medicalizzato e ancora a rischio morte, in caso di complicanze. Sarebbe meglio debellare il virus prima, invece che farlo guarire, con risparmi enormi se considerati i 30-40 anni futuri di mancata assistenza ospedaliera”

NO ALLA REGIONALIZZAZIONE DELLA SANITA’

Peccato che l’attuale sistema sanitario italiano non sia affatto adeguato a mettere in campo strategie di questo tipo, coniugando innovazione a investimenti lungimiranti. “Il problema – ha aggiunto infatti il professor Colombo – è che per fare in modo che l’innovazione tecnologica in sanità diventi economicamente sostenibile, occorre costringere il sistema alla appropriatezza diagnostica e terapeutica. E questo lo può fare soltanto un sistema centralizzato, con un forte controllo centrale”. Motivo per cui il docente dell’Università milanese è convinto che “la regionalizzazione abbia demolito i nostri bilanci e la logica di controllo dell’appropriatezza degli interventi terapeutici, visto che ogni regione si fa la propria politica sanitaria a se stante”. “C’è un accanimento da parte delle istituzioni nel tagliare i costi dei farmaci, legato al fatto che sono una preda facile – ha spiegato il professor Colombo -. Ma i veri sprechi nella sanità stanno nell’erogazione dei servizi ospedalieri, nell’inappropriata gestione dei percorsi di diagnosi e terapia, dove ci sono margini di risparmio economico immensi”. Soprattutto se si pensa di stabilire “un sistema di rimborsi che premia soltanto i percorsi corretti, smettendo così di fare crescere quelle professionalità premiate soltanto dalla logica dei grossi rimborsi sanitari”. Per fare tutte queste cose serve però un Governo con poteri forti sulla sanità; ma finché questa materia sarà delegata alle regioni che la declinano in 20 modalità diverse, sarà quasi impossibile ottenere risultati positivi.


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