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Sconfitti nel Mediterraneo

L’ennesima tragedia che si è consumata nel Mediterraneo non ha bisogno di commenti. Vedo scorrere davanti ai miei occhi i protagonisti della inesistente, e tanto richiamata, “comunità internazionale” e mi viene quella rabbia che comprende un sentimento di profonda vicinanza con le vittime e l’indicibile sconforto per l’incapacità strategica del cosiddetto “mondo sviluppato”.

Comincio con il dire che le vittime del mare, che in grande parte sono vittime della guerra e delle condizioni di degenerazione di Paesi totalmente falliti, dovrebbero essere considerate, purtroppo alla memoria ed al di là delle loro appartenenze culturali e religiose, martiri del terzo millennio; martiri in un tempo storico che ha globalizzato l’esistenza  ma che non ha reso globale la vita umana.  Martiri perché vittime di criminali che della vita umana fanno solo una questione di business e che considerano la morte come un mero effetto collaterale. Eppure anche i criminali sono esseri umani ma hanno scelto la via del male.

Il problema generale è che sembra essere saltato, non solo in Libia, quel consenso diffuso intorno ai valori umani fondamentali, prima ancora che intorno ai diritti. Siamo alla preistoria della condizione umana e non esito a dire che non abbiamo ancora superato l’abisso totalitario del ‘900.

Oggi siamo di fronte ad un esodo biblico e in molti sostengono che tale fenomeno è destinato ad aumentare. Siamo di fronte ad un rivolgimento epocale e le parole e gli strumenti della politica sono ancora quelli di un mondo che non c’è più; di fronte a ciò che accade, gli Stati e gli organismi sovrannazionali ed internazionali parlano di trattati e di regole e non sembrano porsi, ad esempio, il problema di fare qualcosa che vada al di là dell’ufficialità, di rompere il muro di ipocrisia che si legge dietro le dichiarazioni. Il mondo in cui viviamo è, per responsabilità di tutti, un luogo percorso dal disagio, dalla violenza, dalla crudeltà, dall’indifferenza; c’è anche molto di positivo ma la cifra che vediamo è quella della cronaca, delle continue fughe  di centinaia di migliaia di persone da una morte certa verso una felicità sperata e, in molti casi, disattesa.

Il Mediterraneo è un problema italiano in quanto è un problema globale ed europeo; in caso contrario, lasciando all’Italia il problema, si dimostrerebbe ancora una volta che il principio competitivo domina incontrastato il palcoscenico della storia e che non si vede all’orizzonte alcuna voglia di cooperazione che non sia fondata sulla temporanea convergenza di interessi. Perché, allora, continuare a parlare di “comunità internazionale” ?

 

 

 



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