Le mie riflessioni sul progetto umano costituiscono una sorta di ritorno alla sua natura profonda.
La persona umana è capace di grandi solidarietà, innovazioni, aperture e, al contempo, è capace di crudeltà inaudite, di chiusure, di miserie. Tutto questo caratterizza l’essere umano, ciascuno di noi; e nessuno può dirsi estraneo a ciò che accade nel mondo perché nessuno è immune sia dai talenti positivi sia dalla capacità di fare il male. Si tratta, allora, di guardare alla realtà per quella che è, prima di tutto alla nostra interiore.
Le esperienze totalitarie del ‘900, e quelle di oggi che si stanno affacciando prepotentemente sul palcoscenico della storia (penso in particolare al cosiddetto “stato islamico”), tentano di imporre alla/nella realtà umana, per natura perfettibile, un ordine perfetto. E questo provoca un capovolgimento della realtà, una vittoria dell’irrealtà, la negazione di quelle contraddizioni che costituiscono il mistero del progetto umano.
Questa “dogmatizzazione/totalizzazione dell’ideale umano” si sposa con la nostra incapacità di incarnare i valori; infatti, ci rivolgiamo ad essi in termini di “dover essere” e per acquisire una purezza assoluta (per diventare etici), raramente ad un qualcosa che va calato nella nostra natura, che va contaminato per essere fecondato. La libertà, la pace, la democrazia esistono in quanto vengono incarnati nel mondo-della-vita; in caso contrario, nella idealizzazione, essi restano delle maschere dietro cui si nasconde la loro degenerazione, fino alla loro negazione.
Il progetto umano, come i valori, per ri-crearsi hanno bisogno di un terreno fertile, popolare, vitale, contraddittorio; hanno bisogno di essere problematizzati, di entrare in crisi, di far dialogare profondamente gli enti del mondo-della-vita. Sembra un paradosso; se i valori non vanno in crisi rischiano di annullarsi, perdendo la loro essenza e rendendola negativa, trasformandosi nella giustificazione di un errore o di un crimine.