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Shell-BG, ecco che cosa cambia nell’industria dell’oil & gas

E’ l’accordo dell’anno per il settore energia, di quelli che creano nuovi colossi e sono in grado di lanciare una nuova stagione di M&A. L’offerta di Shell, il colosso petrolifero anglo-olandese, per la britannica BG Group, terza maggiore azienda dell’energia nel Regno Unito, del valore di 47 miliardi di sterline (circa 70 miliardi di dollari, in contanti e azioni) dà vita a un gigante con una capitalizzazione di mercato di circa 250 miliardi di dollari. L’operazione, in attesa dei via libera dei regolatori, dovrebbe essere completata a inizio 2016.

UN COLOSSO DEL GAS

BG Group è stata per anni al centro di speculazioni in merito a una possibile acquisizione. “Grandi prospettive, ma operazioni in difficoltà, gestione traballante e azioni in picchiata del 20% negli ultimi 12 mesi”, la descrive l’Economist. “L’accordo dimostra che per i colossi internazionali del petrolio alle prese con un contesto difficile comprare riserve costa meno ed è più facile che trovarne di nuove e svilupparle. Dimostra anche che è scoccata l’ora del consolidamento da quando il prezzo del petrolio ha cominciato a scendere lo scorso anno, costringendo le compagnie a tagliare costi e a trovare modi per tener buoni i loro investitori”.

L’accordo con BG aumenta di un quarto le riserve di petrolio e gas di Shell, finora in contrazione, e rende il nuovo gruppo che si formerà il terzo maggiore produttore mondiale di gas (i primi sono Gazprom, di gran lunga la numero uno, e poi la National Iranian Oil Company; quarta e quinta ExxonMobil e Saudi Aramco). Inoltre, alla fine del decennio, il gruppo sarà il leader mondiale nell’LNG (gas naturale liquefatto) con 45 milioni di tonnellate l’anno di vendite, più della metà di quelle del Qatar.

Uno dei punti di forza di BG che ha attratto Shell è la liquefazione, trasporto e stoccaggio del gas. Il gas viene considerato un’attività promettente perché, nonostante i costi alti e il prezzo più basso del petrolio, rappresenta un mercato in crescita e una fonte abbondante e con minori problemi di impatto ambientale. Shell potrebbe diventare di fatto più un colosso del gas che del petrolio.

L’accordo spiega anche come si sposta oggi il denaro nell’industria dell’energia: a Shell interessano le attività midstream (trasporto) e downstream (raffinazione e distribuzione), che comportano meno rischi e garantiscono margini, piuttosto che l’upstream (ricerca e sviluppo di nuove riserve di petrolio e gas). Ed è così per tutti gruppi dell’energia: il calo del prezzo del petrolio ha evidenziato le debolezze delle aziende che scommettono soprattutto su lunghi progetti di esplorazione e produzione. Non a caso i debiti dei grandi gruppi dell’energia americani ed europei sono saliti di 31 miliardi di dollari finora quest’anno, secondo l’Economist, mentre le loro azioni hanno perso un quinto del valore dall’estate scorsa.

SHELL MIGLIORA IL SUO PORTFOLIO

Non che il petrolio non conti più per Shell. Anzi, il prezzo pagato da Royal Dutch Shell per BG rappresenta un premio di ben il 52%, segno, dicono alcuni osservatori, che il gruppo anglo-olandese si aspetta che i prezzi del petrolio torneranno a salire (il target, che rende il business profittevole, sarebbe 90 dollari al barile). Tuttavia il vero valore dell’accordo per Shell è soprattutto nell’opportunità di migliorare la qualità del suo portfolio e le aree del mondo in cui è attiva, come ha indicato Ubs. Gli analisti di Barclays sottolineano che l’accordo con BG porta a Shell ricche riserve e nuove prospettive di produzione in Brasile nonché in Australia, consentendole di liberarsi di asset meno competitivi, per esempio le attività petrolifere in Canada o progetti difficili da sviluppare come quelli nell’Artico o in zone complicate dal punto di vista geopolitico, come Iraq e Nigeria.

IL PETROLIO DEL BRASILE

E’ proprio l’accesso alle riserve petrolifere in acque profonde del Brasile, secondo molti analisti, la vera motivazione dietro l’acquisizione di BG da parte di Shell. Lo stesso Ceo Ben van Beurden lo ha indicato: “Dobbiamo guardare al Brasile per il suo potenziale. Al momento questa è forse la regione più eccitante per l’industria del petrolio. Siamo già presenti in Brasile, ma vogliamo di più”, ha aggiunto. “Una parte significativa di questo accordo ha a che fare con l’acquisire una maggiore presenza nelle acque profonde brasiliane”.

In Brasile Shell potrà espandersi solo accordandosi con Petrobras, al momento al centro di uno scandalo e di un’inchiesta, cominciata nel marzo del 2014, che coinvolge i dirigenti della compagnia petrolifera di Stato e le principali aziende brasiliane per le costruzioni e i lavori pubblici per sospetta corruzione. Ma van Beurden ha chiarito che i suoi progetti sono di lungo periodo e “Petrobras è un’azienda forte con cui vogliamo collaborare”.

Secondo Ubs, anzi, un rafforzamento della presenza di Shell in Brasile toglierà un po’ della pressione da Petrobras. “Questo accordo è espressione della volontà di continuare a fare affari in Brasile”, dice Ubs. “Shell ha enormi capacità finanziarie per investire nei giacimenti che si trovano sotto strati di sale in Brasile”, nota Edmar Almeida, esperto di energia alla Federal University di Rio de Janeiro. “Il mercato del petrolio cambia di molto se Shell entra nel pre-salt mainstream”.

Al momento l’accesso di Shell alle riserve brasiliane in acque profonde è limitato e inferiore a quello di BG che ha invece un portfolio brasiliano in espansione. Questo diventerà un “driver fondamentale di crescita per Shell”, dicono gli analisti di Jefferies: la produzione dovrebbe salire a 557.000 barili al giorno nel 2020 da 144.000 quest’anno. Per BG, il Brasile rappresenterà, prevedono gli analisti, un terzo delle sue operazioni entro il 2020, contro meno del 10% per Shell.

SCETTICISMO

Non tutti gli osservatori leggono vantaggi nel matrimonio Shell-BG. “Ben van Beurden è entusiasta. Non cammina ancora sulle acque ma spera di camminare sul petrolio, metaforicamente parlando”, scrive il Financial Times. Tuttavia il giornale economico non crede nella capacità del gruppo di continuare a remunerare gli azionisti con i dividendi o nella risalita del prezzo del petrolio su cui Shell punta. Le riserve di Shell stanno diminuendo e il gas australiano e il petrolio brasiliano dovranno ribaltare questo trend, tuttavia, scrive il Ft, “vendite di asset meno strategici e tagli dei costi non saranno sufficienti per sostenere il dividendo dopo questa fusione: è necessaria una ripresa del prezzo del petrolio, perché quelle attraenti riserve brasiliane sono a malapena profittevoli a 50 dollari al barile. Il prezzo deve salire a 90, ma van Buerden non può sapere davvero se questo accadrà”.

Altro nodo portato alla luce dal Wall Street Journal è che Shell e BG sono i due maggiori produttori mondiali di LNG (insieme l’anno scorso hanno rappresentano il 20% dell’output globale) ma la loro unione arriva proprio mentre la domanda per questo combustibile in Asia, la regione del mondo che ne consuma di più, è ai livelli minimi degli ultimi anni. I prezzi sono scesi di pari passo con quelli del petrolio e, anche se il presidente di BG Andrew Gould ha detto che proprio unendo le forze Shell e BG potranno far fronte meglio alle difficoltà, il Wsj si chiede se questo aspetto non resti un tallone d’Achille. “L’acquisizione di BG da parte di Shell crea il primo produttore e fornitore mondiale di LNG e si basa sulla scommessa che paesi come Cina e India useranno meno carbone e più gas naturale in futuro. Ma la strategia delle due aziende dipende dai prezzi del petrolio e non produrrà benefici finché il barile non tornerà a 90 dollari. Intanto la domanda di LNG in Europa continua a calare dal 2011 e nel 2014 è stata la più bassa degli ultimi dieci anni”.

NUOVI MERGER IN VISTA SUL MERCATO

Il mega-merger tra Shell e BG alimenta anche le speculazioni sull’inizio di una nuova stagione di M&A che vede le aziende dell’energia protagoniste. Primo imputato, come nella stagione di fusioni e acquisizioni degli Anni ’90, è ancora una volta il calo del prezzo del petrolio. Sono considerati possibili obiettivi di takeover Tullow, azienda britannica che conduce esplorazioni, ma anche gruppi più grandi come BP, che potrebbe far gola alle americane Chevron o ExxonMobil, che sarebbero spinte dal rafforzamento di Shell a fare una contromossa.

“Negli Usa, ExxonMobil e ChevronTexaco sono le due maggiori aziende petrolifere integrate che hanno le possibilità finanziarie per mettere a segno grosse acquisizioni”, scrive IbsTimes. “In Europa la francese Total e la norvegese Statoil potrebbero trovare più conveniente comprare riserve di petrolio e gas con un’acquisizione che svilupparle ex novo”.

Di diverso avviso Robin Mills, head of consulting di Manaar Energy e autore del libro “Il mito della crisi del petrolio”: “Certo che ci saranno altre operazioni di consolidamento per le difficoltà di ottenere crescita organica e per il calo del prezzo del petrolio, ma non credo in nuovi mega-merger come quello di Shell e BG: gruppi dell’Europa continentale come Statoil, Total ed Eni sono gelosamente difesi dai governi nazionali. E con le grane che ha con le partecipazioni in Russia e le responsabilità nel disastro del Pozzo di Macondo, BP non è nella posizione né di comprare né di essere comprata”.



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