Nel Mediterraneo siamo di fronte ad un fenomeno epocale, ad un esodo biblico. Smettiamola di parlare di immigrati, abbiamo a che fare con profondi rivolgimenti dell’ordine costituito.
Le parole della destra e della sinistra significano ormai pochissimo, le loro narrazioni nulla spiegano di una realtà che ci sta travolgendo, di “segni dei tempi” che, incompresi dalle nostre “tattiche della certezza”, ci stanno buttando addosso decenni di vuoto in termini di visioni politico-strategiche. Non avevo particolari speranze sull’esito dell’incontro fra i leader europei: colgo l’importanza di sostenere le operazioni in mare ma, attenzione, siamo ancora come il medico che cura una malattia grave con una dose sempre più massiccia di palliativi. L’Europa non può fare altro che balbettare, non ha un pensiero adeguato e la “retorica politica”, che nasconde l’assenza di progetti di convivenza, continua a togliere senso e dignità alla politica stessa; gli “autoproclamati leader” continuano a guardare al consenso e non alla storia.
Il Mediterraneo è, ancora una volta, uno straordinario “laboratorio strategico”; percorso da un sedicente “stato islamico” dal chiaro sapore totalitario (la storia, pur non essendo maestra di vita, si ripropone), nel “mare nostrum” si vince o si perde insieme. Intere popolazioni sono immerse nel profondo dramma delle guerre, subiscono la brutalità degli “stati falliti”, fuggono per cercare la normalità; organizzazioni criminali sfruttano la sopravvivenza di persone che chiedono di vivere; i governi parlano di valori, tamponano, non comprendono.
Dobbiamo riappropriarci della storia, abbandonare le illusioni del pensiero lineare, ricominciare a guardare la realtà per quella che è, a respirare il senso umano che brucia sotto le ceneri della nostra inciviltà.