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Tesoretto e bluff, col Def è iniziata la caduta degli dei?

Le previsioni contenute nel Def di un incremento della pressione fiscale al 44,1% nel 2016, vanno lette anche in relazione al crollo delle entrate erariali del primo bimestre 2015.

Un calo di circa 350 milioni solo per il settore energetico (-315 solo da oli minerali) dovuti al crollo dei consumi. Segno che la ripresa non c’è.

Se il trend delle entrate si confermerà in calo di prossimi mesi, anche per l’effetto laffer, di fatto le tasse aumenteranno in relazione al PIL. Dunque non saranno ridotte quelle attuali perché necessarie a sostenere il gettito per garantire il fabbisogno che richiedono i bonus elettorali voluti dal governo.

Ed è più plausibile che spuntino nuove tasse da parte dei Comuni e degli enti locali.

Il premier però ha annunciato la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia con misure contenute nel Def.

Se e come verranno tradotte nell’immediato le promesse del Premier in norme per la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia che scattano il 30 giugno prossimo, non ci è ancora dato saperlo.

Una cosa è certa: le clausole contenute nella legge di stabilità del 2015 che determineranno un imponente aumento delle accise sui carburanti e dell’Iva valgono oltre 69 miliardi di cui solo 16 per il 2016 (fonte:Intesa Sanpaolo)

E secondo le previsioni del Def il blocco delle clausole se ci sarà, potrà valere solo per il 2016.

Casualmente il 2016 è l’anno in cui, secondo le recenti promesse di Matteo Renzi alla sua minoranza, si dovrebbe andare al voto. In cambio, oltre all’anticipo del voto al 2016 dal 2018, Renzi promette ai ribelli, se non toccano quell’abominio chiamato Italicum, una ulteriore concessione nella migliore tradizione del voto di scambio, ben trenta posti nelle liste. (Chi saranno i trenta fortunati “Giuda” che tradiranno la Costituzione (e la democrazia) per trenta poltrone?)

Oggi poi sorge un fatto nuovo. Il premier promette di togliere una clausola di salvaguardia, ma ecco che ne spunta una nuova nuova nei decreti sul Jobs Act (ne parlano Il Sole 24 Ore e Il Fatto Quotidiano) che prevede un contributo di solidarietà a carico (come sempre) di autonomi e imprese private per sostenere gli ammortizzatori sociali.

Un brutto segnale, che attesta il fallimento delle politiche economiche e del lavoro di questo governo. Insomma non sanno dove reperire soldi per le politiche frettolose e di stampo propagandistico, poste in essere. Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti quindi corre al riparo e tenta una smentita. Ma la Ragioneria dello Stato è stata chiara: non ci sono i fondi. Vedremo come finirà.

In tutto questo deve stupire, e allertare anche la #UE, il fatto che come per magia quando ci si avvicina a tornate elettorali delicate, spuntano dal cilindro del Capo del Governo, fantasmagorici tesoretti da trasformare subito in bonus (merce di scambio elettorale preferita dal premier).

Questa pratica del #tesoretto va cassata perché, se il tesoretto c’è, vuol dire che o qualcuno ha occultato entrate che potevano essere invece usate per ridurre la pressione fiscale alle imprese e ai cittadini, oppure chi guida il ministero dell’Economia non sa fare i conti o non ha saputo (o voluto) prevedere un gettito che poteva essere subito destinato alla riduzione delle tasse. Certo è che ora è iniziata la corsa a chi la spara più grossa, per accaparrarsi il tesoretto in favore del proprio elettorato.

Per adesso, in attesa di capire bene la favola del Def, limitiamoci a sorridere innanzi al primo vero fallimento delle politiche del governo: il miracolo del Jobs Act ha prodotto una saldo positivo di soli tredici nuovi posti di lavoro a tempo indeterminato (per tre anni e poi si vedrà). È ciò senza contare i contratti temporanei o a progetto persi e non rinnovati.

Insomma nonostante Poletti e Renzi abbiano magnificato 78mila nuovi occupati grazie al Jobs Act, sono stati miseramente smentiti dai dati incontrovertibili diffusi dall’Inps di Tito Boeri.

Speriamo che qualcuno si accorga che è iniziata la caduta degli dei.

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