Tutto quello che avete pensato e avete avuto il coraggio di dire ma non di realizzare. Tutto quello che, di fronte all’ennesimo intoppo, al reiterato incidente burocratico, avete immaginato nel più crudo e cruento dei finali senza riuscire, però, a raccogliere la solidarietà di chi vi stava accanto. Tutto quello che la vostra bile è riuscita a secernere di fronte a un appalto soffiato da un rivale con l’imbeccata giusta, tutto il sangue che in unico fotogramma la vostra parte malvagia è stata capace di immortalare, tutto questo è tutto quello che alla vostra immaginazione è – purtroppo per voi – ancora precluso, è contenuto in un piccolo volume “I nuovi venuti” che Giorgio Dell’Arti ha scritto sfogandosi e limato divertendosi.
Immaginate un esercito di kosovari, ma non solo loro, ci sono anche gli uomini della granica, i qiblisti, gli spetsnaz, gli shabaab, i berkut, insomma un sacco di cattivi e incazzati, insomma tutti questi che si occupano di recupero crediti. E che, in tale veste, vengono in Italia a far valere le ragioni dei tanti creditori, loro clienti.
È un sollievo per il popolo, per ciascun io, che siamo noi, vittime dell’impasse racchiusa nella contraddizione – tutta pressappochista – tra i due concetti di rivoluzione e autorità.
Tagliano teste, questi, e anche le mani e i piedi ai giornalisti. A Casini, per dire, lo impalano. Solo lui. In men che non si dica fanno fuori l’intera classe dominante: politici, giornalisti, funzionari pubblici. Un salasso al corpo dello Stato e delle Istituzioni, a tutti quei boiardi che hanno, come una terribile neoplasia, occupato ogni tessuto vitale del paese.
Neanche Lebon aveva fatto tanto nella Francia giacobina dove solo in quegli anni scorreva più sangue che vino.
Se Travaglio è slurp, uno che appunto come vuole l’onomatopeia, è “contro” ma nel senso che mangia nello stesso ristorante, solo che preferisce un altro tavolo, Dell’Arti è pulp. Uccide tutti con quel procedere sistematico che è, nell’omicidio, il trasposto del dizionario degli uomini illustri che con dotta e didascalica perizia Dell’Arti, appunto, manutiene e aggiorna.
Uccide tutti ma, pare, più per allungargli la vita che auspicando una soluzione finale. Proprio, forse, in ragione di quella contraddizione tra rivoluzione e autorità che suggerisce altre vie rispetto a sangue e rottamazione.
E però, di fronte al rogo del terminal 3 dell’aeroporto di Fiumicino, in cui un piccolo incendio di un piccolo locale tecnico si è divorato tutto un terminal, si è di fronte a un evento in cui la catena di responsabilità è lunghissima al punto da chiamare in causa tutto l’indice dei nomi del libro di Dell’Arti.
Viene dunque da chiedersi se ha ancora senso l’autoassoluzione quando si è costretti ad ammettere che “tutti” sono colpevoli. O se non è forse arrivato il momento di essere un po’ pressappochisti. Tant’è.
Ci salveranno i kosovari?
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