Si è concluso ieri a Roma il Simposio internazionale sul cambiamento climatico, iniziativa sponsorizzata dal New policy forum sotto la guida di Mikhail Gorbachev, in collaborazione con il Pontificio consiglio della giustizia e della pace. Direttore scientifico dell’incontro Martin Lees, consulente delle Nazioni Unite per la Cop20 di Lima e moderatore della Task force di Gorbachev sul cambiamento climatico. L’obiettivo del Simposio è stato quello di riunire personalità internazionali impegnate nella lotta al cambiamento climatico per formulare un documento di analisi e proposte in vista di Parigi 2015.
Man mano che si avvicina il summit internazionale sul clima, la realtà si fa più vivida. “Parigi a rischio di insuccesso”, sono state le parole con cui Francesco Rutelli ha aperto in suo intervento. Difficile mettere d’accordo i Paesi impegnati a individuare una strategia unica di azione contro il cambiamento climatico. Ognuno con le sue esigenze di crescita e sviluppo; ognuno con una storia politica, istituzionale e sociale differente; ognuno coinvolto e intaccato dal cambiamento climatico in modo differente. Le ambiziose aspettative verso Parigi iniziano così a scontrarsi con una realtà complessa che fino a oggi non ha permesso alle nostre società di individuare un piano condiviso ed efficace per garantire protezione ambientale e sviluppo sostenibile di ogni singolo Paese.
“Il fatto che alla scadenza del 31 marzo prevista a Lima, siano stati meno di 40 i Paesi che hanno consegnato il proprio impegno nazionale su cui basare l’accordo di Parigi 2015, è un evidente segnale negativo”, ha proseguito Rutelli: “Attorno al clima si è sviluppato un paradosso: tutti sono concordi sulle evidenze scientifiche del Panel intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc) e la necessità di agire, ma l’opinione pubblica si dimostra poi distante e poco interessata. Complessità, assenza di concretezza e crisi economica e di sviluppo sono i principali motivi del paradosso”.
Un altro elemento che lascia perplessi riguarda il fatto che a Parigi si discuterà di un accordo che ha come prospettiva il periodo post-2020. Ma se la scadenza di Kyoto è prevista a fine 2015, cosa faranno i Paesi in quei cinque anni? È perciò importante che i negoziatori di Parigi prendano coscienza – secondo i promotori del simposio – della necessità di individuare un piano a lungo termine che abbia come destinatari le generazioni a venire, ma anche dell’urgenza di intervenire con azioni pratiche e ben definite sin da subito. Da qui la proposta del Centro futuro sostenibile di far attivare sin da subito alcuni elementi dell’atteso accordo di Parigi, con il quale ampliare anche l’elenco delle sostanze chimiche che con il Protocollo di Montreal del 1987 – definito da Rutelli come una delle poche storie di successo in tema di clima – sono state bandite e messe fuori produzione.
In una conversazione con Formiche.net, Georgios Kostakos, consulente per la convenzione delle NU sui cambiamenti climatici (Unfccc) e segretario per Cop20, ha criticato molto il ruolo di un’Europa assente e incapace di avere una voce unica anche in tema di cambiamento climatico. Kostakos ha parlato di “un potere non reale, che non parla degli interessi concreti dell’Europa ma agisce come una piccola Onu”. Una critica da non sottovalutare se la nostra unione ha intenzione di fornire un valido contributo internazionale e, allo stesso tempo, far valere la propria presenza in contesti globali.
Per Kostakos la priorità è quella di cambiare il paradigma di riferimento. L’azione per il clima non deve staccarsi dall’idea di crescita e sviluppo. Lui stesso non si definisce un ambientalista, ma afferma che è possibile preservare la natura e far crescere l’economia “cambiando i modelli di sviluppo e riducendo le forme di diseguaglianza che purtroppo caratterizzano le nostre società: è una questione di responsabilità”.
Nel frattempo dall’altra parte del mondo, gli Stati Uniti si danno un gran da fare. L’ex governatore del Colorado Bill Ritter, a latere del simposio, ha ricordato l’impegno del suo Paese: “Nel suo primo mandato le priorità di Obama sono state il piano di assistenza sanitaria e la crisi economica; ora è il clima a figurare tra i principali impegni del presidente. Questo lo ha dimostrato con la sottoscrizione dell’impegno nazionale per il clima che prevede di ridurre del 30% le emissioni di gas a effetto serra entro il 2030”. Il Clean power plan è quindi un documento cruciale per gli Stati Uniti. L’ex governatore, che presiede il Rapporto al presidente sulle azioni dell’agenzia presidenziale ed esecutiva per l’energia pulita in America, parlando con Formiche.net ha anche voluto mettere in evidenza il fatto che la California basa il 50% del proprio approvvigionamento energetico su energie rinnovabili, seguita dal 30% del Colorado.
Le conseguenze negative del cambiamento climatico per molti di noi sono lontane e forse poco percepite, ma le sfide verso Parigi 2015 sono davvero tante, soprattutto se si vuole avere uno sguardo responsabile verso i Paesi più colpiti e verso le generazioni future. Non bisogna abbassare la guardia e pensare che riunirsi per qualche giorno in una bella capitale europea possa bastare per proteggere la Terra, la biodiversità e l’esistenza stessa dell’uomo.