Ora che anche il dato del Pil Usa ha deluso gli osservatori, con un povero +0,2% di crescita, dopo che era accaduto lo stesso con quello inglese, col suo misero +0,3%, mi chiedo se il vero danno che rischiano di provocare i vari QE non finirà col coincidere con quello che tutti dicevano di voler evitare: la perdita di fiducia.
La fiducia nel QE, innanzitutto.
Me lo dico mentre guardo ai nostri problemi europei, con la BCE a pompar fiducia tramite l’acquisto di asset, iniziando noi a godere dei benefici, per adesso esclusivamente finanziari, di cui Usa e UK godono dall’inizio del secondo decennio del secolo. Ossia da quando hanno iniziato a far lavorare le proprie banche centrali.
E mi chiedo pure se quello che sta accadendo in quelle economie in qualche modo non dovrebbe servirci da lezione.
Il problema del QE, ebbe a dire un noto banchiere centrale, è che non funziona in teoria ma in pratica sì. Senonché quest’inizio di 2015 ci dice un’altra cosa: funziona in pratica ma fino a un certo punto.
Sarebbe avventato trarre conclusioni dall’andamento di un trimestre economico. Però non posso fare a meno di notare che il dato deludente dei paesi capofila dei QE arrivi proprio quando la BCE ha iniziato la sua politica di allentamento e la banca centrale giapponese ne ha preannunciato ulteriori. La conseguenza è stata che le monete di questi paesi si sono ulteriormente svalutate, a vantaggio soprattutto del dollaro. Ed ecco che la statistica ha presentato il conto.
Sarà pure un caso, ma la sensazione è che il QE sia la forma aggiornata e contemporanea delle vecchie svalutazioni competitive.
Tuttavia, poiché diffido delle sensazioni, corro a leggere le release degli istituti di statistica che, al di là del dato numerico, come sempre provvisorio e soggetto a revisioni, fotografano l’andamento dei vari settori del prodotto. E comincio da quello inglese.
La prima informazione utile che trovo nella rilevazione dell’istituto di statistica inglese è che l’unico settore che ha visto il prodotto in crescita è stato quello dei servizi, che tutti noi sappiamo essere intimamente correlato a quello finanziario. In particolare i servizi sono cresciuti dello 0.5%.
Al contrario il settore delle costruzioni ha perso l’1,6%, quello industriale lo 0,1% e l’agricoltura lo 0,2%. La dieta pane e mattoni degli inglesi evidentemente mostra la corda.
La seconda informazione è che il primo trimestre 2015 sul primo trimestre 2014 ha visto un Pil in crescita del 2,4%, quando gli analisti si aspettavano arrivasse al +4% rispetto al picco negativo del primo quarto 2008.
La terza informazione la deduco osservando le tabelle. Fatto 1.000 il peso del prodotto complessivo, il settore dei servizi pesa 784 sul totale, e ciò spiega perché una crescita del Pil dei servizi sia capace di spostare l’indicatore delle crescita in territorio positivo. Il settore delle costruzioni, per dire, pesa appena 64. Il calo dell’1,6% del pil nel primo trimestre del settore, quindi, ha un peso relativo assai inferiore sul totale del prodotto rispetto alla crescita dello 0,5% dei servizi.
In tal senso, il QE, che ha servito assai bene l’industria finanziaria, è stato sicuramente un ottimo viatico per la crescita inglese che, fatto 100 l’indice del 2011, al rimo trimestre 2015 è arrivato a 106,6.
L’ultima notizia la deduco dall’osservazione del grafico che misura con istogrammi l’andamento dei vari trimestri della crescita inglese rispetto a trimestre precedente. Nel corso del 2014 il trend è chiaramente in declino.
La crescita inglese, insomma, rallenta.
Di quella americana vi parlerò domani.