Mentre si susseguono le ipotesi governative su come adempiere la sentenza della Consulta, arriva una prima stima complessiva dell’impatto per le finanze pubbliche della decisione della Corte Costituzionale. La Consulta ha dichiarato incostituzionale la norma del decreto “Salva Italia” che non riconosceva la rivalutazione per gli anni 2012-2013 degli assegni di importo superiore di tre volte il trattamento minimo.
L’IMPATTO DELLA SENTENZA
Secondo una stima effettuata dall’Ufficio studi della CGIA (Confederazione degli artigiani di Mestre), la decisione presa la settimana scorsa dalla Consulta in materia previdenziale potrebbe costare alle nostre finanze oltre 16,6 miliardi di euro. L’importo complessivo, che l’Inps rischia di restituire ai 5 milioni di pensionati che hanno subìto il mancato adeguamento Istat disposto dal governo Monti con il “Salva Italia”, è stato calcolato al netto dell’Irpef.
L’ANALISI DELL’UFFICIO STUDI CGIA
Sempre dall’analisi elaborata dalla CGIA si evince che il blocco avvenuto nel 2012-2013 ha interessato i pensionati che percepiscono un assegno mensile netto superiore a 1.088 euro. Il risultato di questa elaborazione – spiegano dall’ufficio studi della Cgia – è stato raggiunto in base ai dati sulle pensioni riferite al 2012. I calcoli sono al netto dell’Irpef che dovrà essere trattenuta sulla quota pensionistica recuperata. Per ogni scaglione pensionistico si è stimato l’importo medio. Sono stati calcolati anche gli effetti sul 2014-2015, poiché l’attualizzazione relativa a questo biennio è stata effettuata su un importo mensile minore, proprio a seguito della normativa dichiarata incostituzionale.
LE IPOTESI DEL GOVERNO
Se nei giorni scorsi era circolata l’idea di scaricare i rimborsi ai pensionati per il periodo 2012-2014 sui conti degli scorsi anni in modo da non avere grane con l’Europa, ora emerge una dura realtà: gli 8,7 miliardi di pregresso andranno conteggiati nel deficit nominale del 2015. Non solo, ci sono poi da conteggiare i 3,5 miliardi per quest’anno e per il prossimo. Con il risultato – scrive Repubblica – di cambiare volto ai conti notificati a Bruxelles con il Def e il rischio di sforare il fatidico tetto del 3% che comporterebbe la certezza di venire messi sotto procedura d’infrazione europea.