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Enel, Eni, Terna, Anas. Ecco chi ballerà con Renzi a suon di banda larga

D’accordo, Telecom e Cdp non si amano troppo. Insomma i vertici dell’ex monopolista presieduto da Giuseppe Recchi e la Cassa presieduta da Franco Bassanini, dopo i tweet ficcanti tra Recchi e Bassanini, ora si danno appuntamento in Consob.

Infatti finisce sul tavolo della Commissione presieduta da Giuseppe Vegas la polemica sulla banda larga tra Telecom Italia e la Cassa depositi e prestiti. Il gruppo telefonico ha presentato ieri una segnalazione alla Commissione “per la valutazione delle determinazioni di competenza” in seguito ai dubbi espressi da Bassanini, presidente di Cdp e di Metroweb, sul valore della rete Telecom.

“Secondo alcuni sarebbe sopravvalutata in bilancio con un goodwill notevole”, ha detto Bassanini ieri nel corso di un convegno alla Luiss. Una frase che a detta di Telecom adombra dubbi sulla veridicità del bilancio e dunque è stata portata all’attenzione della Consob. D’altronde la tenzone fra Telecom e Bassanini va avanti da anni. Con il presidente di Cdp e di Metroweb che accusa Telecom di traccheggiare sugli investimenti in fibra e il gruppo privato che non vuole farsi rottamare troppo la rete in rame.

Ma che cosa bolle, ora, sulla banda larga? E perché le tensioni tra governo e Telecom non si placano? Andiamo con ordine.

Sul tema della rete va registrata la posizione dell’Enel capeggiata dall’ad, Francesco Starace, tirata in ballo nei giorni scorsi sul piano del governo per la banda larga con preoccupazione da parte del gruppo guidato dall’ad, Marco Patuano: “Stiamo lavorando sul nostro progetto, quello del cambio e sostituzione di contatori digitali, che abbiamo cominciato a installare nel 2000 e stanno arrivando a fine vita naturale, questo è il nostro lavoro, questo è quello che facciamo: innovazione della rete legata al cambio dei contatori”, ha detto il presidente di Enel, Patrizia Grieco, ribadendo che il gruppo è impegnato nel suo core business.

Non solo Enel, comunque: il governo punta a coinvolgere anche altre aziende. Un ruolo, potenziale, e auspicato per l’esecutivo, lo avranno anche le municipalizzate energetiche. Significative ieri le parole di Bassanini: “Enel non ha ancora chiaro quello che vuole fare, così come Acea, Iren ed Hera. Gli operatori non hanno ancora capito se per fare funzionare i nuovi contatori intelligenti c’è bisogno della fibra o basta il doppino in rame. Così come non hanno ancora chiaro come fare un investimento che non potrebbe essere scaricato in bolletta: solo il costo del contatore potrebbe entrare nella Rab [il sistema di remunerazione degli investimenti]. Sarebbe molto interessante se tutti fossero disponibili a partecipare con le loro infrastrutture al progetto di banda larga” del governo.

Le tensioni fra Telecom da una parte e governo-Cdp dall’altra sono meno cervellotiche di quanto si possa pensare. Con la strategia per la banda larga approvata dal governo, l’esecutivo ha fissato alcuni obiettivi per recuperare il gap con il resto dell’Europa e conformarsi con gli obiettivi dell’Agenda Digitale Europea: 100% dei cittadini a 30 mbps e 50% a 100 mbps entro il 2020.

Per centrare quei target, spiega a Formiche.net una fonte governativa, l’idea della presidenza del Consiglio è chiara: per garantire il raggiungimento di quegli obiettivi bisogna puntare sulle infrastrutture, i miglioramenti della tecnologia (in rame) non sono sufficienti. Quali? Tra le ultime evoluzioni trasmissive sulla coppia in rame sperimentate da Telecom c’è Fast (Fast Access to Subscriber Terminals ed ex G.fast), una tecnologia che secondo la società di Patuano consente di rendere in molti casi più veloce il processo di diffusione delle connessioni ad altissima velocità consentendo di sfruttare la rete in rame esistente nell’ultimo tratto verso casa cliente.

“Queste architetture, sfruttando i cablaggi in rame esistenti, possono consentire in diversi casi di ridurre tempi e costi di deployment rispetto ad un’architettura FTTH (Fiber To The Home) completamente in fibra ottica, pur mantenendo le prestazioni a livelli confrontabili”, ha spiegato Giovanni Picciano, Manager Fixed Access Innovation and Engineering di Telecom Italia.

Non basta, secondo il governo, che punta per questo sulla fibra ottica. Come? Da un lato con fondi pubblici da rimodulare e da utilizzare per incentivare gli investimenti delle aziende del settore nelle aree con maggior digital divide. Dall’altro con un ruolo sistemico di Metroweb. Dall’altro ancora con interventi normativi.

E’ il caso del decreto Comunicazioni in cantiere tra dicastero dello Sviluppo economico e presidenza del Consiglio in cui si prevede tra l’altro che tutte le reti dei servizi pubblici, non solo quella elettrica, saranno obbligate ad ospitare i cavi per la fibra ottica. Non solo Enel, ma anche Eni, Ferrovie, Anas e tutte le multi utility saranno di fatto coinvolte nel progetto. Si punta anche – sottolinea il Sole 24 Ore – “a eliminare ogni autorizzazione per l’occupazione, compresa quella paesaggistica, nel caso di adeguamento o sostituzione di cavi in fibra ottica su impianti elettrici aerei interrati, anche in aree vincolate”.

L’obbligo di posa di mini tubi scatterebbe sempre, in fase di scavo, si evince dalla bozza del provvedimento. Ecco il passaggio clou: “Le imprese che forniscono infrastruttura fisica destinata alla prestazione di un servizio di produzione, trasporto o distribuzione di gas, elettricità compresa l’illuminazione pubblica, il riscaldamento, l’acqua, inclusi le fognature e gli impianti di trattamento delle acque reflue, e i sistemi di trasporto, compresi ferrovie, strade, porti e aeroporti, anche concessionari pubblici e privati sono obbligate alla posa contestuale di mini tubi standard vuoti per il passaggio di cavi in fibra ottica“.

Dirigismo? O solo buon senso?


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