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Un equilibrio a geometria variabile tra diritti sociali e finanza pubblica

La recente sentenza della Corte Costituzionale sulla riforma Fornero è ormai il terreno di scontro tra due diverse visioni del rapporto tra diritti sociali e finanza pubblica. Se secondo alcuni i diritti sociali sarebbero sacrificabili in nome di spesso generiche e non meglio specificate esigenze di contenimento della spesa pubblica; secondo altri, la tutela dei diritti sociali contenuti nella prima parte della Costituzione richiederebbe certamente un attento bilanciamento di interessi da parte del legislatore, che tenga conto anche dei riflessi finanziari delle politiche sociali, senza tuttavia che ciò si traduca in un inaccettabile rovesciamento di prospettiva secondo cui diritti costituzionalmente garantiti risulterebbero sacrificabili in presenza di scelte di politica economica adottate dall’esecutivo e dal legislatore. Ne deriverebbe, infatti, un inaccettabile indebolimento della prospettiva costituzionale dei diritti sociali ed un (incostituzionale) rafforzamento – fin quasi ad assurgere a rango costituzionale – delle scelte di politica fiscale effettuate della maggioranza politica del momento. La crisi finanziaria che ha fatto da contesto alle scelte del Governo Monti è innegabile e, chi lo fa, è certamente in malafede. Tuttavia, ciò che la sentenza della Corte Costituzionale ha evidenziato e posto a fondamento della pronuncia di incostituzionalita, è il fatto che in uno Stato di Diritto gli strumenti utilizzati e le modalità di intervento sono tutt’altro che indifferenti. Sarebbe bastato forse un impianto motivazionale più articolato, oppure, evitare di spacciare per riforma pensionistica un palese intervento tributario o, ancora, affrontare in chiave costituzionale il tema del rapporto tra diritti acquisiti e crisi fiscale dello Stato e forse il buco sulle pensioni ce lo saremmo risparmiato. Fino a qualche tempo fa era l’Europa e le sue politiche di austerità il nemico dichiarato del popolo italiano. Oggi, paradossalmente, di fronte ad una sentenza che ristabilisce dei diritti sociali si leggono commenti che definiscono la Corte Costituzionale come una sorta di organo eversivo. C’è un po’ da mettersi d’accordo. Ho sempre sostenuto la necessità di politiche di contenimento della spesa pubblica e di rigore finanziario, tuttavia, ritengo che tali obiettivi si possano perseguire non semplicisticamente tagliando i diritti sociali in nome di generiche esigenze finanziarie, ma ridefinendo il settore pubblico in chiave sussidiaria, qualificando i diritti sociali come diritti fondamentali della persona piuttosto che come diritti al l’erogazione di una prestazione da parte dello Stato. Quel sistema di welfare è, infatti, ormai finanziariamente insostenibile. E l’Europa ci indica una chiara direzione evolutiva in grado di tenere insieme mercato, finanza e coesione sociale.  Parlando di Europa si è soliti identificare il problema delle sue istituzioni nel loro deficit democratico, tuttavia, come dimostra il quadro normativo che è emerso come risposta alla crisi dei debiti sovrani e, in particolare, la centralità assunta dall’interesse alla stabilità finanziaria rispetto agli altri interessi in gioco, il vero problema su cui occorre riflettere al fine di vagliare la legittimità di quelle norme di natura finanziaria che, incidendo sulla sovranità di un Paese, si riflettono in interventi di contenimento della spesa sociale e, quindi, sui livelli di protezione dei diritti sociali, è rappresentato dal ricorso al metodo intergovernativo quale strumento di adozione delle nuove regole europee sui bilanci pubblici che, come tali, si pongono al di fuori del contesto costituzionale europeo e, pertanto, fuori da ogni logica di bilanciamento con quelle istanze sociali giuridicamente protette sia a livello europeo che dalle costituzioni nazionali. In particolare, quello della convivenza tra politiche di austerity concordate a livello UE e livelli di tutela sociale accordati dalle costituzioni nazionali è un tema su cui occorre fare particolare attenzione per non incorrere nel possibile cortocircuito dei controlimiti posti dalle Costituzioni nazionali (come avvenuto in vari Paesi e, di recente, in Italia con la sentenza sulla legge Fornero). Volgendo lo sguardo al nostro Paese, la costituzionalizzazione del principio del pareggio di bilancio – pur rappresentando la mera costituzionalizzazione di un principio già ben presente nella giurisprudenza costituzionale – ha certamente contribuito a rafforzare il posizionamento costituzionale dell’interesse alla stabilità finanziaria rispetto agli altri interessi in gioco quali, ad esempio, quelli scaturenti dall’affermazione del principio di uguaglianza sostanziale contenuto nell’art. 3 della Costituzione. Sarebbe però un grave errore non prendere sul serio tale nuovo assetto  di interessi, continuando ad invocare la solidarietà tra gli Stati membri al fine di aggirarne la portata e scaricando su altri il peso delle scelte politiche che ne dovrebbero conseguire sul fronte delle modalità di tutela dei diritti sociali e del complessivo ripensamento tanto delle modalità di intervento pubblico nell’economia quanto dell’organizzazione dei servizi pubblici.

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