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Genitori liberi di scegliere in Italia come in Europa

Il dibattito sulla libertà educativa tocca le corde più profonde del nostro stare assieme come cittadini. La scuola, come ricordava Dario Antiseri, ha, tra gli altri, il compito di “costruire menti critiche”, ovvero di promuovere una nozione matura di democrazia, in cui la partecipazione non si risolve nella genuflessa sudditanza nei confronti del sovrano di turno, ma diventa attiva condivisione del momento decisionale. Perciò il monopolio burocratico-statale del sistema italiano rappresenta uno dei maggiori ostacoli all’esercizio della libertà educativa, in forza della quale si manifesta la prima e fondamentale forma di esercizio della sovranità da parte dei cittadini. Eppure, a distanza di anni, nessun passo avanti significativo è stato ancora compiuto nel nostro Paese nella direzione della libertà educativa dove, come ricorda ancora Antiseri, “le scuole libere sono libere esclusivamente di morire”.

Oltretutto, il suddetto monopolio fa dell’Italia il fanalino di coda rispetto alla maggior parte dei Paesi europei dove, racconta Giacomo Zagardo nel suo “La punta di diamante. Scenari di scolarizzazione e formazione in Europa”, si sono invece affermati modelli di governance scolastica ispirati a principi e prassi quali l’autonomia, la valutazione e rendicontazione alle famiglie e alla società, il legame con il sistema produttivo e con le politiche di sviluppo locale, lo sviluppo di un management educativo capace di rispondere ai profondi processi di cambiamento, la revisione dei percorsi di studio e dei curricula, fino alla personalizzazione dell’insegnamento e il coinvolgimento di altri soggetti pubblici e privati. È appena il caso di ricordare quanto sostenuto dal Parlamento Europeo nella “Risoluzione sulla libertà d’insegnamento della Comunità Europea” del 14 marzo 1984: “Il diritto alla libertà d’insegnamento implica per sua natura l’obbligo per gli Stati membri di rendere possibile l’esercizio di tale diritto anche sotto il profilo finanziario e di accordare alle scuole le sovvenzioni pubbliche necessarie allo svolgimento dei loro compiti e all’adempimento dei loro obblighi in condizioni uguali a quelle di cui beneficiano gli istituti pubblici corrispondenti, senza discriminazione nei confronti degli organizzatori, dei genitori, degli alunni e del personale”.

Questa valorizzazione della sussidiarietà orizzontale è la via peraltro indicata dalla Dottrina sociale della Chiesa per rispondere all’emergenza educativa, tramite il coinvolgimento di tutte le realtà vive della società, e in una prospettiva integrale dello sviluppo umano che guarda alla persona (docente, alunno, famiglie) come rete di relazioni educative, ben al di là del mero apprendimento scolastico.

Il problema diventa allora armonizzare, in un gioco a somma positiva per tutti gli attori coinvolti, la dialettica fra indirizzo pubblico e produzione privata nei settori dei servizi sociali. Gianluca Fiorentini ha ricordato a questo proposito l’introduzione, in alcuni paesi europei, di forme di mercato in cui, “a fronte di un’offerta privata di tipo competitivo, il finanziamento della domanda viene garantito da istituzioni pubbliche che sono spesso anche titolari di compiti di vigilanza e di regolamentazione”. Accanto a questo, occorre insistere sull’introduzione del “buono scuola”, che, come sostiene Luigi Binanti, costituisce la formula democratica che assicura l’equipollenza di trattamento tra gli aventi diritto e la concreta attuazione del diritto alla libera scelta, orientando il finanziamento pubblico verso obiettivi di qualità e di efficienza delle istituzioni scolastiche, nel cui ambito inserisce linee di effettiva competizione.

Sotto il profilo economico, il buono scuola si configura come un utile strumento in grado di superare i limiti dello schema domanda-offerta-prezzo, non adatto all’allocazione di un bene strategico come la formazione scolastica, dove tanto il mercato quanto lo stato appaiono inefficienti rispetto a transazioni caratterizzate da “asimmetrie informative”. Restituendo libertà di scelta alle famiglie, il buono scuola rappresenterebbe inoltre una carta di liberazione per i più bisognosi, senza peraltro contravvenire al dettato costituzionale.

In definitiva, solo un sistema scolastico plurale, in cui si assume che lo strumento migliore per valutare il valore delle scuole sia la competizione e non il giudizio di qualche dirigente nominato dalla politica, potrà fare emergere i migliori dirigenti, i migliori professori e, nel contempo, aiutare gli studenti a dare il meglio, crescendo in mentalità critica e in amore per la vita democratica. Ecco allora che risuonano dirompenti le parole di Luigi Sturzo sulle quali chiediamo al Governo di meditare attentamente: “Finché la scuola in Italia non sarà libera, neppure gli italiani saranno liberi; essi saranno servi, servi dello Stato, del partito, delle organizzazioni private o pubbliche di ogni genere […]. La scuola vera, libera, gioiosa, piena di entusiasmi giovanili, sviluppata in un ambiente adatto, con insegnanti impegnati nella nobile funzione di educatori, non può germogliare nell’atmosfera pesante creata dal monopolio burocratico statale”.

 


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