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Ecco gli obiettivi di Renzi con il sindacato unico

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Renzi è perfettamente cosciente di quello che dice quando tira (è il caso di dirlo) fuori la storia del sindacato unico. Traduco per chi non è aduso al detto e non detto del compaesano di Dante e Macchiavelli (uno ha inventato la lingua, l’altro la politica): con gli ottanta euro ho dimostrato di aiutare concretamente chi è in difficoltà e con il jobs act ho introdotto, anche se in via sperimentale, il salario minino legale per chi non è coperto dal contratto, dunque se devo fare io il vostro mestiere, mi attrezzo come meglio credo.

Tra i destinatari del messaggio qualcuno ha capito subito i rischi e si sta muovendo, altri no, e continuano la loro marcia per diventare sempre più stati d’animo.

E’ pur vero che il nostro legge e rilegge tutte le sere “il Viaggio” di Tony Blair, ma è probabile che qualche ricordo degli studi giovanili lo rimandi a Filippo il Macedone, quello del “divide et impera”, dunque è assai improbabile che l’obbiettivo vero sia il sindacato unico: più praticabile, accessibile e conveniente è un sistema contrattuale che favorisca lavoro e sviluppo. In sostanza contratti di lavoro più decentrati, in fabbrica e sul territorio, che non una contrattazione nazionale rigida, poco adatta ai cicli economici.

Oggi, nel solo comparto industriale, abbiamo la bellezza di oltre 700 contratti nazionali registrati presso l’Archivio del Cnel (notizia già data da “Formiche.net“), almeno una pletora di federazioni sindacali di categoria che si occupano dei più importanti comparti (metalmeccanico, tessile, edile, poligrafico, chimico, alimentare ecc), da moltiplicare per le tre confederazioni, al quale si aggiungono le confederazioni di base e i cosiddetti sindacati autonomi. Inoltre tutta la contrattazione nazionale va rimoltiplicata per i settori della PMI e dell’artigianato.

Come si vede è una geometrica potenza di numeri e sovrapposizioni. Forse sarebbe più logico immaginare un CCNL (il mitico acronimo che sta per contratto collettivo nazionale di lavoro) di cornice che, fatti salvi i diritti (evitando il cosiddetto costo del diritto), si limiti, come sembra capire da alcuni scritti di Pietro Ichino, a stabilire le paghe orarie minime. Questo per dare una copertura certa ed esigibile sia ai lavoratori che alla imprese.

Già Sergio Chiamparino, attuale governatore del Piemonte ed ex sindaco di Torino, un uomo cresciuto a pane e Fiat, si era interrogato sull’opportunità di un contratto unico dell’industria; gli faceva eco lo storico Giuseppe Berta che auspicava il superamento di un unità sindacale da anni settanta del secolo scorso a favore del contratto unico.

E’ di qualche giorno fa un intervento del segretario generale dei metalmeccanici della Cisl, Marco Bentivogli, che sottolineava che una piattaforma comune tra sindacati fosse difficile e che l’unico punto di contatto era la riduzione dei contratti di nazionali. Insomma Fim e Fiom d’accordo o almeno coscienti che il problema c’è.


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