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Italicum e futuro della rappresentanza

Europa (2)

L’Italicum è stato approvato dal Parlamento e firmato dal Presidente della Repubblica, facendo riemergere, al di là del meccanismo mediatico, il tema della rappresentanza nel processi democratici. Un dibattito importante perché qualsiasi democrazia si deve fondare su una legge elettorale che garantisca un principio: il sistema politico ed istituzionale deve essere realmente rappresentativo del corpo elettorale.

E qui iniziano i “dolori” perché dobbiamo essere democratici senza dimenticare che viviamo nell’era della Rete. E, con la Rete e i suoi Titani, i social network, è arrivata la disintermediazione tra base e vertice, tra cittadino, politica e governo. Un sistema che collassa qualsiasi rapporto come dentro un “buco nero” mettendo in collegamento diretto i soggetti in gioco, che siano il Premier o uno qualsiasi di noi. Come dire: l’inferno della rappresentanza. E’ molto meglio il rapporto diretto dove l’alto può rispondere senza intermediari al basso facendogli arrivare più velocemente il messaggio. E (teoricamente) viceversa.

Ma come è successo? Partiamo dall’inizio. Con la globalizzazione, il potere (quello vero) è migrato dallo Stato-Nazione a uno spazio sopranazionale. La politica, invece, è ancora locale, relegata entro i confini angusti del territorio nazionale. Se guardassimo la Terra da un satellite, ci sembrerebbe una cartina simile a quella dell’Alto Medioevo: grandi imperi che si distendono a dismisura (USA, UE, Russia, Cina con relative zone di influenza) ed un insieme di feudi sparsi nei punti più strategici della Rete (con relativi snodi gerarchici locali: Londra, Parigi, Roma…). Cameron, Renzi, Hollande, Rajoy o Tsipras sono i signorotti feudali di questo mondo dove si consuma il divorzio sempre più evidente tra potere (la facoltà strategica di porre in atto un progetto) e la politica (la capacità concreta di decidere che cosa fare o non fare). I signorotti vorrebbero essere potentissimi a livello locale perché sono debolissimi a livello globale.

Nessuno degli organi politici esistenti, ereditati dal passato e creati per servire lo Stato-Nazione, ha le chiavi per uscire da questa situazione. Ecco perché, in questo nuovo contesto, la politica (con i suoi partiti) deve trovare una nuova collocazione e nuove strategie. L’innovazione tattica, apportata da fenomeni come M5S di Grillo, la Lega di Salvini e il PD di Renzi  è basata su leader “gerarchici” di rete che collassano il rapporto con  cittadini, quanto meno in termini di comunicazione.

Ma ecco che arriva il problema, l’inciampo, lo tsunami della presunzione di quelli che scambiano il mezzo (la rete) per il fine (la leadership). Perché, contrariamente al passato, in questo nuovo mondo di democrazia “quasi” diretta le gerarchie sono naturali e non prescritte. Nel sistema delle reti interdipendenti, la leadership e il carisma si costruiscono nell’atto stesso dell’esercizio del potere perché nessun leader, se non nel breve  periodo, ha un pieno potere di comando o sanzione. Nemmeno Obama o Putin. E questo si ripercuote su quel processo collettivo che chiamiamo governare.

Della serie: nelle reti interdipendenti globali, quanto conta il Premier italiano? Purtroppo per l’Italia poco, molto poco. Siamo realisti: la leadership di Obama insegna molto. Pragmatismo, droni, community a due velocità (virtuale e fisica) ci insegnano che l’uomo più potente del mondo è il precursore di un approccio nuovo e di una rete di rappresentanza diffusa. Quanto più possibile autorevole, quanto meno possibile autoritaria. Fatevi una domanda: pensate che Obama sia un leader autoritario? E direste la stessa cosa di Renzi o Hollande?

Obama ha capito che, nell’era della Rete, un leader che volesse avere un rapporto veramente diretto con i suoi elettori dovrebbe avere una capacità divina: dimostrarsi “immensamente” competente perché, nel rapporto diretto tra elettori e decisori, qualsiasi persona con uno smartphone in mano può mettere in dubbio l’autorevolezza di chiunque. L’alternativa è quella (obamiana) di evitare atteggiamenti divini o cesaristici e approcciare pragmaticamente le situazioni, “andando a leva” e sfruttando tutte le risorse di rete disponibili, comprese quelle della rappresentanza. Un esempio concreto per tutti: il Presidente della nazione più presente nel mondo con propri soldati e con il più alto livello di spese militari del globo che vince, senza colpo ferire, il Premio Nobel per la Pace. Lo ricordate? Un capolavoro di comunicazione, pragmatismo e consenso in rete.

Ma, invece di copiare la lezione “buona” di Obama, molti leader italiani cercano la scorciatoia, chiamiamola la lezione “cattiva”. Perché invece di sfruttare tutte le risorse, rappresentanza compresa, cercano solo di “andare a leva” nel rapporto diretto con i cittadini moltiplicando un risultato di base (il consenso elettorale delle Europee per Renzi, i sondaggi per Salvini, il voto di protesta in Rete per Grillo) per dimostrare che “gli italiani (o chi per loro) lo vogliono”. Un po’ come “perché Dio lo vuole” dei fondamentalismi religiosi o delle decisioni prese “in nome del Papa Re”.

Ecco qual è il vero problema dell’Italicum nell’attuale fase della vita politica (e non solo) italiana. Sulla spinta di una leadership autoritaria e non autorevole, cerca di riprodurre uno dei meccanismi di rete più importanti (l’assetto feudale della Rete: lo snodo gerarchico, il podestà che governa la città-Stato = la legge del Sindaco d’Italia) per avere un rapporto diretto con i cittadini e marginalizzare la rappresentanza (politica o di interessi che sia) per tenersi stretto il feudo rispetto al potere preponderante dei sistemi sovranazionali, UE, USA o altro che sia.

Ora, commentatori molto più autorevoli di me hanno già scritto e detto in abbondanza sull’Italicum. Senza aggiungere troppo, la legge elettorale in discussione determinerà una sorta di diretta investitura diretta del premier (non prevista dalla nostra Costituzione) con un sistema di capilista bloccati e la possibilità di candidature in più collegi che sono finalizzate ad assicurare il “posto fisso” ai gerarchi di partito, vincenti o perdenti. Come dire: l’assetto feudale colpisce ancora.

I dubbi sono tanti e di tanti. Possibile che siano tutti sbagliati o corporativi? Cambiare per migliorare va bene. Ma vale la pena di cambiare per peggiorare? E perché non aprirsi a modifiche migliorative? Ad esempio per formare un parlamento inclusivo? La lezione del successo di CONFASSOCIAZIONI è che reputazione, competenza e capacità di includere sono i fattori vincenti nei sistemi di rappresentanza in rete. Bisogna lavorare come i grandi staffettisti: correre con i primi senza mai dimenticare gli ultimi.

E non è pura retorica. Quale problema esisteva a costruire nell’Italicum  forme inclusive che consentissero di avere un sensore aperto sull’evoluzione dei fenomeni politici e sociali? Ad esempio, sarebbe bastato inserire l’ipotesi di un rappresentante per ogni partito che fosse sopra il 2% e sotto il 3%. Ricordate quando il “Senatur” era l’unico rappresentante della Lega in Parlamento? Avessimo ascoltato e valutato allora quelle istanze di innovazione, buone o cattive che fossero, forse adesso saremmo da un’altra parte.

E invece no, ora come allora. Chiusura totale per supportare la logica feudale. O così o niente. Il Don Rodrigo di turno che prevarica qualsiasi apertura perché ha paura. Paura di perdere il potere acquisito. Un Parlamento delegittimato dalla Corte Costituzionale per un premio di maggioranza abnorme e illegittimo che vota una legge elettorale che offre un premio ancor più importante ad una minoranza che potrebbe essere, per effetto dell’astensione, ancora più piccola di quella attuale.

Dimenticando, fra l’altro, che il vero scandalo del Porcellum non era solo nel premio di maggioranza, ma anche e soprattutto nei confini dei collegi elettorali: il diabolico Calderoli (ma sarà stato veramente lui?) li aveva tutti disegnati per far vincere ove possibile il mix tra Lega e PDL. Non se lo chiede nessuno: una volta approvato l’Italicum, chi ridisegnerà i nuovi collegi? I new comers e i piccoli dovrebbero stare molto attenti.

Ecco perché è importante l’allarme suonato da più parti (minoranza Pd, Forza Italia, Movimento 5S, SEL). Si tratta, come è stato scritto, di una preoccupazione giusta ma per ragioni sbagliate perché il problema vero non è solo il sistema istituzionale che ne deriverà, democratura o deriva autoritaria che sia. Il vero “vulnus” sarà nell’impossibilità di fare innovazione per qualsiasi nuovo soggetto politico che si voglia proporre all’attenzione dei cittadini.

E’ per questo che è importante ascoltare l’appello accorato di Corrado Passera e di un movimento nuovo come Italia Unica. Perché non importa chi vincerà dopo. L’importante è che tutti coloro che, con le proprie competenze e la propria passione, volessero contribuire al futuro politico del Paese lo possano fare senza passare dalle “forche caudine” di un sistema autoritario non perché lo sia in assoluto, ma perché bloccato sull’esistente. Il track record della legge dei sindaci racconta chiaramente: a causa del potere che hanno, vengono quasi sempre rieletti al secondo mandato. E per fortuna che c’è il limite dei due mandati, come per il Presidente degli Stati Uniti. Un altro limite che l’Italicum non prevede.

http://www.angelodeiana.it/i-paradossi-dellitalicum-nellera-della-rete-siamo-tornati-allalto-medioevo/

Una versione di questo articolo è stata pubblicata su “Il Garantista” del 5 maggio 2015

http://digitale.ilgarantista.it/giornalistiindipendenti/books/150505ilgarantista/index.html#/23/

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