Che l’amore, seppur tra grandi difficoltà e nel pieno rispetto di ogni libertà, trionfi sempre è, per un credete (anche laico), una sorta di “certezza”; di postulato ineludibile.
Che anche il recente referendum irlandese sui diritti delle coppie omosessuali sia una conquista d’amore non è in discussione.
E che l’amore debba essere coronato dal riconoscimento di fondamentali diritti civili, anch’esso è essenziale in una “società aperta”.
Ma che l’amore possa essere “utilizzato” come opzione di omologazione, questa è un’aberrazione assolutamente da evitare.
L’affetto che unisce due persone non può divenire la foglia di fioco per ogni rivendicazione e l’occultamento di indiscutibili differenze anche naturali: la coppia tra un uomo ed una donna è, da un punto di vista biologico, unica rispetto ad ogni altro tipo di unione. Non a caso il processo evolutivo ha selezionato tra le varie opzioni riproduttive quella sessuata.
Quindi non tutto è uguale sotto l’«ampia» coperta dell’amore: c’è un amore assai variegato e da un punto di vista naturalistico sterile, ed un amore -unico- capace di generare, al proprio interno, nuova vita.
Ogni pretesa omologazione financo giuridica (l’istituto del matrimonio equiparato alla coppia gay, all’unione di fatto od anche alla stessa convivenza) immolerebbe l’amore sull’altare della «in-differenza» e di una strisciante “strumentalizzazione -per così dire- civile”.
Due persone che scelgono liberamente (e quindi con ragione) un certo tipo di unione hanno certamente diritto alla tutela giuridica del loro specifico status. Ma non tutte le unioni (anche quelle eterologhe) possono vantare od esigere gli stessi identici diritti per la semplice ragione che sono diverse. E sono state scelte, perché diverse!
Nella coppia il soggetto del diritto non è l’individuo, bensì la coppia. E ogni tipo di coppia -in base anche alle specificità naturali ed antropologiche- ha diritto al riconoscimento di una propria particolarità.
Parafrasando una certa impostazione scolastica, potremmo ipotizzare due classi di diritti: diritti “comuni” uguali per tutte le coppie e dei diritti di “indirizzo” puntuali e particolari per ogni fattispecie.
Su queste premesse, appare irrinunciabile e improcrastinabile (e la Chiesa dovrebbe aiutare in tal senso) una nuova, organica ed avanzata legislazione nazionale.
Non liberalizzare, come è accaduto in Irlanda. Ma legalizzare (ovvero, regolamentare con serietà e responsabilità) a tutela delle coppie, dell’amore che la sorregge e della diversità che le qualifica.
Solo la diversità (anche negli istituti) è alcova d’amore.