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Ecco chi e come attacca i pensionati

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Analizziamo il periodo di circa 24 anni, a partire cioè dal D. Lgs. 503/1992, che ha stabilito che, a partire dal 1994, la perequazione automatica delle pensioni deve avvenire solo sulla base dell’adeguamento al costo della vita e con cadenza annuale.

In precedenza (cioè fino al 1992) la perequazione avveniva su base semestrale ed in relazione alla variazione media delle retribuzioni contrattuali dei lavoratori dipendenti, pubblici e privati. Inoltre la percentuale di perequazione era: del 100% fino a 2 volte il trattamento minimo; del 90% tra 2 e 3 volte il trattamento minimo e del 75% per gli importi eccedenti il triplo del trattamento minimo.

Inizialmente il d. l. 384/1992, convertito in legge 438/1992, aveva (con l’art. 2, c.1) bloccato la rivalutazione del novembre 1992, a valere per il 1993, ma successivamente è stata attribuita, anche se in misura calmierata, attraverso la legge 537/1993 (art. 11,c.5).

Nel 1998 (ai sensi dell’art.59, c.13, L. 449/1997) la pensione, per gli importi oltre 5 volte il minimo INPS, non è stata perequata.

Nel 1999 e 2000 (sempre per l’art. 59, c.13, L. 449/1997) la perequazione delle pensioni ha subìto le seguenti limitazioni:

– 30% per le fasce di importo tra  5 e 8 volte il minimo INPS;
– nessun incremento per le fasce di importo oltre 8 volte il minimo INPS.

Dal 2001 (L. 388/2000, art. 69, c.1) l’indice di rivalutazione automatica delle pensioni è stato applicato a scaglioni secondo lo schema previsto dalla legge 448/1998 (art. 34, c.1), e cioè:

– nella misura del 100% (per le pensioni fino a 3 volte il minimo INPS);
– nella misura del 90% (per le pensioni tra 3 e 5 volte il minimo INPS),
– nella misura del 75% (per gli importi superiori a 5 volte il minimo INPS).

Nel 2008 la perequazione non è stata applicata del tutto per le pensioni di importo superiore a 8 volte il minimo INPS, cioè superiori a 3.539,72 € mensili lordi (art. 1, c.19, L. 247/2007).

Nel triennio 2008, 2009 e 2010 la distinzione della rivalutazione al 90% per gli importi di pensione tra 3 e 5 volte il minimo INPS è stata annullata, portandola al 100%, come per le pensioni fino a 3 volte il minimo INPS (legge Damiano 127/2007).

Nel 2011 la rivalutazione è tornata ai vecchi meccanismi a scaglioni, di cui alla legge 448/1988 (art. 34, c.1), cioè secondo le tre percentuali decrescenti (100, 90, 75) in rapporto alla misura crescente della pensione.

Nel 2012 e 2013 (art.24, c. 25, d.l. 201/2011, convertito in legge 214/2011), tutte le pensioni di importo lordo oltre 3 volte il minimo INPS, cioè 1.441,58, nel 2012, ed oltre 1.486,29 € nel 2013, non sono state rivalutate del tutto.

Nel triennio 2014-2016 (a seguito della legge 147/2013 del Governo Letta) la percentuale di rivalutazione è stata correlata all’importo complessivo del trattamento pensionistico e non più alle varie fasce di importo. Pertanto la rivalutazione risulta: del 100 % fino a 3 volte il minimo INPS; del 95% per i trattamenti complessivi tra 3 e 4 volte il minimo INPS; del 75% per i trattamenti complessivi tra 4 e 5 volte il minimo INPS; del 50% per i trattamenti complessivi tra 5 e 6 volte il minimo INPS; infine oltre 6 volte il minimo INPS (cioè oltre 2.990,42 €) non opera alcuna indicizzazione nel 2014, anche se gli importi fino a 2.990,42 sono stati  rivalutati del 40% dell’indice inflattivo, mentre dal 2015 la rivalutazione sarà del 45% dell’indice ISTAT previsionale per tale anno e sull’importo complessivo dei trattamenti medesimi.

Un nuovo meccanismo di indicizzazione sarà necessariamente previsto per il 2012 e 2013, cioè dopo la sentenza 70/2015 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 24, c.25, della legge Fornero 214/2011, che aveva bloccato la perequazione, per il biennio anzidetto, di tutte le pensioni oltre 3 volte il minimo INPS.

Logica e diritto suggerirebbero il ritorno in vigore del meccanismo di indicizzazione a scaglioni che ha operato nel 2011, infatti una legge successiva, emanata oggi, non potrebbe avere effetto retroattivo. Temo invece che Renzi-Padoan cercheranno in ogni modo di non rispettare lettera e spirito della sentenza 70/2015 della Corte.

CONTRIBUTI DI SOLIDARIETA’ SULLE PENSIONI

Un primo contributo di solidarietà, a decorrere dal 1° gennaio 2010 e per un periodo di tre anni, è stato introdotto dalla legge 488/1999 (art. 67) nella misura del 2% sugli importi dei trattamenti pensionistici complessivamente superiori al massimale annuo previsto dall’art. 2, c.18 , della legge 335/1995, vale a dire sulle pensioni di importo lordo superiore a 144, 148, 152 milioni circa di lire (cioè superiori a circa 74.500, 76.500, 78.550 €) nei tre anni anzidetti.

Un secondo contributo di solidarietà è stato introdotto a metà del 2011 dalla legge 111/2011, che ha previsto un prelievo del 5% sull’importo delle pensioni oltre i 90.000 € lordi/anno, nonché del 10% sugli importi delle pensioni oltre i 150.000 € lordi/anno, a valere dal 1° agosto 2011 e fino al 31/12/2014. Tale disposizione è stata giudicata incostituzionale, con sentenza 116/2013, da parte della Corte competente.

Un terzo contributo di solidarietà è stato introdotto, a valere per il triennio 2014-2016, dalla legge 147/2013 del Governo Letta. Tale contributo opera: in misura del 6%, sulle pensioni lorde oltre 14 volte il minimo INPS; in misura del 12% sulle pensioni oltre 20 volte il minimo; in misura del 18% sulle pensioni oltre 30 volte il minimo INPS (in concreto nel 2015, rispettivamente oltre 91.160,16, oltre 130.228,80 ed oltre 195.343,00 € lordi/anno).

CONSIDERAZIONI FINALI

Alla luce dei dati richiamati, si può ben dire:

– che nell’arco degli ultimi 24 anni per almeno una decina di volte sono stati modificati meccanismi e criteri di indicizzazione delle pensioni, e tutti sono stati peggiorativi rispetto ai meccanismi precedenti, tranne che nel triennio 2008, 2009 e 2010 in cui, per effetto della legge Damiano (L. 127/2007), l’indicizzazione delle pensioni tra 3 e 5 volte il minimo INPS è stata portata al 100% (anziché al 90%). Sempre e solo pienamente tutelati sono stati i percettori di pensioni fino a 3 volte il minimo INPS;

– che i nostri legislatori si sono dimostrati tutti sordi rispetto ai principi costituzionali di cui agli artt. 36 e 38 della Costituzione, ribaditi in decine di sentenze della Corte, cioè l’obbligo per le pensioni di rispettare un rapporto proporzionale con la retribuzione goduta nella vita attiva e di assicurare, nel tempo, un loro reale ed effettivo adeguamento alle variazioni del costo della vita. Per il ceto medio e le categorie dirigenti in pensione queste garanzie non hanno operato;
– che tutti i provvedimenti legislativi in materia di trattamento pensionistico in godimento ( sia sotto forma di riduzione dei meccanismi consolidati di indicizzazione, come di introduzione di contributi forzosi di solidarietà) sono stati e sono di assai dubbia legittimità costituzionale, oltre che certamente contrari ai principi sacralizzati dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea;

– che alcuni commenti critici alla sentenza 70/2015 della Corte costituzionale (anche da parte di giuristi) rivelano solo malafede, ispirata da pregiudizi ideologici, ovvero che la sentenza non è stata letta attentamente;

– che, ove la sentenza 70/2015 fosse applicata solo a tutela delle pensioni fino  a 2.500-3.000 € lordi/mese, si realizzerebbe una nuova illegittimità ed ingiustizia, infatti sono proprio le pensioni oltre le 5 volte e le 8 volte il minimo INPS quelle che sono sempre state massacrate negli ultimi 24 anni, sia sotto il profilo della mancata o inadeguata indicizzazione sia sotto forma di esproprio indebito, contrabbandato come “contributo di solidarietà”. Si confermerebbe che non conta aver lavorato e contribuito di più, né aver fatto lavori di più alta qualificazione, ma piuttosto appartenere ad una categoria numerosa, il cui consenso sia conveniente “comprare” in termini elettorali, come il bonus degli 80 € insegna.

Con le premesse anzidette, sarà inevitabile che le rappresentanze delle categorie degli ex lavoratori, oggi in pensione, come i singoli pensionati interessati, si attivino con ogni forma di lotta, comprese le azioni legali, contro qualsiasi tentativo (anche sotto la specie del rinvio) di non corretta applicazione della sentenza 70/2015, come di fronte a qualsiasi nuovo insulto a danno di chi la pensione l’ha maturata attraverso anni di sudato lavoro e adeguate contribuzioni.

Infine, si impone una domanda: quando i nostri politici e legislatori, anziché dedicarsi alle parole senza credibilità ed ai provvedimenti illegittimi, si impegneranno, seriamente e doverosamente, a combattere corruzione, evasione, sprechi e privilegi?

Dott. Carlo Sizia
Comitato direttivo FEDER.S.P.e V.


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