Ai tempi del governo Letta (quando Matteo Renzi non era ancora Segretario del PD e le “larghe intese” sembravano destinate a durare per l’intera legislatura), a un conversazione tra amici economisti, l’allora ministro pro-tempore (peraltro breve) Enrico Giovannini affermò che dopo avere messo mano al mercato del lavoro (si era appena in parte risolta la questione degli “esodati”) avrebbe rivolto il proprio il proprio pensiero e le proprie energie ad una nuova “riforma delle pensioni”. Si levò, dagli altri commensali, un ‘coretto a cappella’: Enrico non farlo; nessun Paese regge una riforma della previdenza l’anno, le informazioni su futuro delle pensioni sono la determinante che più incide sui comportamenti dei cittadini-elettori poiché ti diventare prima o poi pensionati.
Giovannini si ricordò di avere studiato (e anche insegnato) “la teoria economica delle informazioni” e concluse che per un bel po’ non avrebbe toccato l’incandescente materia. Le informazioni sul futuro del sistema previdenziale vanno maneggiate con estrema cura in quanto incidono sui comportamenti delle famiglie (che le considerano “impegni”, più che “promesse”, delle autorità pubbliche) delle imprese (che le considerano un onere che, però, sulla base del passato può consentire loro di smaltire organici diventati pletorici facilitando la quiescenza di questo o quello), delle autorità pubbliche che hanno serie difficoltà a distinguere tra assegni previdenziali frutto di contributi di lavoratori e di datori di lavoro e sostegno ai più poveri che dovrebbero essere a carico dell’erario e per i quali gli istituti di previdenza dovrebbero avere unicamente la funzione di ufficiali pagatori.
C’è spesso, poi, una certa confusione su cui abbia titolo a comunicare informazioni in materia di politica previdenziale. Nella fase degli “accordi interconfederali” che portano alla normativa previdenziale del 1968-69 (redatta sulla base dell’ipotesi che il miracolo economico, allora agli sgoccioli, sarebbe stato eterno), la triplice Cgil-Cisl-Uil are decisamente la protagonista. Ministri del Lavoro e della Presidenza Sociale di forte stratura (ad esempio, Gianni De Michelis negli Anni Ottanta) fecero chiaramente capire che si trattava di materia esclusivamente di loro spettanza. In altri casi, la presero in mano i Presidenti del Consiglio (Amato nel 1992-93, Dini nel 1995) lasciando ai Ministri del Lavoro il compiti di dare interviste e farsi vedere in televisione. Si potrebbe continuare: la pluralità di voci ha accentuato l’incertezza. L’ incertezza – ci ha appena ricordato il Rapporto Istat (non è il primo documento a dirlo e non sarà l’ultimo) – è determinante primaria dello scoraggiante andamento dell’economia italiana.
Non è questa la sede per esaminare, ancora una volta, i problemi connessi alla sentenza della Corte Costituzionale sulla perequazione e sulla soluzione escogitata: Formiche.net ha trattato diffusamente del “buco annunciato” nei giorni scorsi e la saga è destinata a continuare. Occorre sottolineare il “buco annunciato” (sin dal 2011) è scoppiato nelle mani del Governo Renzi solo meno di un mese fa e l’esecutivo si è arrabattato per dare l’immagine di sollecitudine nei confronti dei poveri tra i poveri unitamente a promesse (le elezioni regionali sono prossime) in materia di flessibilità in uscita per chi vuole andare in quiescenza anticipata.
Occorre, però, dire che il processo è stato confuso e disorientante. In primo luogo, il ministro del Lavoro e degli Affari Sociali è parso come un comprimario o una comparsa: nessuna delle parti interessate si rivolgeva a lui per un tentativo di soluzione. Nel contempo, il presidente dell’Inps, fresco di nomina, delineava non una ma una decina di riforme fondamentali della presidenza che proporrebbe (si presume al Ministro da cui formalmente dipende, non direttamente al Parlamento oppure al popolo italiano) entro fine giugno. A questo punto sarebbe forse preferibile (per ragioni di chiarezza) che l’attuale inquilino di Via Ciro il Grande traslocasse a Via Veneto e l’attuale inquilino di Via Venuto avesse un altro incarico (le migrazioni?).
A una certa fase, mentre la mitragliatrice di Via Ciro il Grande continuava a sparare lineamenti di riforme per le pensioni in essere e quelle future, è parso chiaro che il Ministro dell’Economia e delle Finanze e la Ragioneria Generale dello Stato avessero il mandato di “tappare il buco” poiché il primo ci rappresenta in Europa e la seconda ha la responsabilità del bilancio dello Stato. Quindi, mentre da tutti i talk show venivano delineate riforme più o meno radicali (creando un enorme disorientamento), è stato costruito un tappo di sughero per il buco. E’ di sughero non un Diam 30 Diam Bouchage; lo tenga presente Yoram Gutgeld, l’unico a Palazzo che di queste differenze si intende. Quindi, nei suoi confronti è stata elevato un coro del Verdi, ilcoro a Dio/là dei pensionati/ miseri assettati/ quello ‘O signore faremo ricorsi’/ che tanti petti ha scosso ed inebriati.
I versi del Giusti sono quanto mai appropriati perché nell’Italia di oggi imperversa una confusione e un disorientamento simile a quelli prevalenti nella Milano in cui il dominio austro-ungarico sul Lombardo Veneto stava per tirare le cuoia. E’ imminente una nuova sentenza della Consulta (quella sui contributi forzosi di solidarietà, presi ad imitazione dalle misure introdotte dal Cav. Mussolini per finanziare le guerre d’Africa). Mentre appena ci sarà il “decreto del tappo di sughero” pulluleranno ricorsi in tutti i tribunali.
La serenità per tornare a crescere è un miraggio lontano.