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Perché l’America deve reagire all’offensiva della Cina

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Tino Oldani apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

Un rapporto fresco di stampa del Council on Foreign Relations (Cfr), intitolato «Revising U.S. grand strategy toward China» (Rivedere la grande strategia Usa verso la Cina) è degno di attenzione.

La sintesi del rapporto è brutale: la Cina deve essere sconfitta perché rischia di diventare la potenza più grande del mondo, superando gli Stati Uniti. E se a dirlo è il Council on Foreign relations, è bene prestare attenzione. Si tratta infatti del think tank più influente negli Stati Uniti, che da decenni studia le strategie globali e geopolitiche che poi il governo Usa fa proprie. Fondato nel 1921, il Cfr ha avuto tra i soci fondatori la famiglia Rockefeller, che mise a disposizione i fondi necessari insieme a J.P. Morgan, Bernard Baruch, Otto Kahn, Jacob Schiff e Paul Warburg, gli stessi banchieri coinvolti nella fondazione della Federal Reserve, la banca centrale Usa. Tra le iniziative storiche del Cfr si ricorda la proposta di fondare l’Onu, che il presidente Usa Franklin D. Roosevelt fece propria e presentò con successo ai 50 Paesi che nel 1945 parteciparono alla conferenza di San Francisco. Subito dopo, John Rockefeller Jr. donò il terreno di New York su cui è stato costruito il palazzo dell’Onu.

Di fatto, oggi il Council on Foreign Relations è il principale punto d’incontro tra le élite della finanza e della politica Usa, ed esservi invitati è considerato un segno di successo personale come pochi altri al mondo. Un onore che, per quanto riguarda l’Italia, ha accomunato gli ultimi tre presidenti del Consiglio (Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi). Un motivo in più per prestare attenzione al rapporto sulla Cina, scritto da due specialisti di geopolitica: Robert D. Blackwill, legato a Henry Kissinger e alla famiglia Bush, e Ashley J. Tellis, ex ambasciatore in India ed esperto di questioni asiatiche. Le loro tesi hanno pienamente convinto il presidente del Cfr, Richard Haass, che ha dato il personale imprimatur, presentandolo come «un contributo fondamentale per la politica estera degli Stati Uniti, uno studio che merita di diventare il cardine dei rapporti Usa-Cina».

Facendosi portavoce di Wall Street e degli interessi Usa, il rapporto del Cfr sottolinea più volte che in molti contesti la Cina minaccia di assumere un dominio egemonico in Asia, «minando così il tradizionale obiettivo geopolitico degli Stati Uniti di garantire che questa arena rimanga libera dal controllo egemonico». Diventa perciò urgente, secondo gli autori, difendere gli interessi vitali dell’America. Come? Il rapporto esorta gli Stati Uniti «ad investire in capacità di difesa e capacità specifiche per battere la Cina, e permettere così la proiezione del potere degli Stati Uniti anche contro l’opposizione concertata da Pechino». In pratica, una spinta al Congresso Usa perché stanzi maggiori risorse per la Difesa, a favore delle multinazionali e delle banche che lavorano a stretto contatto con il Pentagono.

Il Cfr sa bene che in America non tutti sono d’accordo con questa analisi, a cominciare dalla Casa Bianca. Per questo gli autori la rimproverano apertamente: «Tutti i segni indicano che il presidente Obama e i suoi colleghi hanno una diagnosi profondamente diversa e molto più benigna degli obiettivi strategici della Cina in Asia, rispetto alle nostre valutazioni». Da qui l’accusa a Obama di «debolezza e di omissioni», di essere il capo di una «amministrazione che sembra preoccupata di offendere Pechino». Accuse pesanti, che il Cfr ribadisce nonostante la tenacia con cui Obama sta cercando di chiudere il negoziato Ttp (Trans Pacicif Partnership), un grande accordo commerciale sul modello del Ttip, che include il Giappone e altri paesi asiatici, ma esclude la Cina. Il Tpp è ok, ammette il rapporto, anzi «è essenziale». Ma non basta per battere la Cina.

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