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Regionali, benvenuti nei laboratori di Umbria e Marche

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Giovanni Bucchi apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

Le uniche regioni dove il centrodestra è riuscito a mettere in piedi qualcosa di nuovo rispetto al passato sono proprio quelle cosiddette rosse del centro Italia nelle quali non la coalizione ha molte speranza di vittoria.

Esclusa la Toscana, dove il pd Enrico Rossi ha la strada spianata vista la divisione in tre blocchi dello schieramento avverso, sia in Umbria che nelle Marche l’area riconducibile al Partito popolare europeo (seppure non del tutto) si presenta con formule innovative, in entrambi i casi a forte carattere territoriale, con progetti nati dal basso e non calati direttamente da Roma (o da Arcore) per via di divisioni e spartizioni nazionali.

Dove infatti il centrodestra può davvero vincere, come in Veneto, le fratture che hanno portato alla scissione dell’ex leghista Flavio Tosi e all’uscita dei fittiani da Forza Italia sono figlie esclusivamente di logiche romane che nulla hanno a che vedere con il governo della regione.

Stesso dicasi per la Liguria, caso ancora più palese se è vero che lì Silvio Berlusconi ha candidato il suo consigliere Giovanni Toti che è pure toscano. Copione analogo in Puglia con lo scisma scaturita dallo strappo di Raffaele Fitto.

Nelle Marche invece è accaduto qualcosa di profondamente diverso. L’alleanza tra Forza Italia e Marche 2020-Area Popolare a sostegno del governatore uscente ex Pd, Gian Mario Spacca, vuole infatti essere un nuovo laboratorio politico, sulla falsariga di quanto sperimentato in questa regione cinque anni fa. Nel 2010 infatti fu proprio Spacca a lanciare il cosiddetto modello Marche presentandosi per primo in Italia alla guida di una coalizione che teneva insieme Pd e Udc a scapito della sinistra radicale lasciata ai margini. Ed è proprio da lì che è scaturita l’esperienza di Marche 2020, definita dal coordinatore nazionale di Ncd, Gaetano Quagiariello, come «l’esperimento più puro con una componente regionale e il cattolicesimo popolare».

Non che la cosa sia riuscita senza sbavature, visto che buona parte del gruppo dirigente dell’Udc non ha voluto mollare il Pd e s’è quindi alleata con il candidato del centrosinistra Luca Ceriscioli. Tuttavia, come spiega il presidente nazionale dello scudocrociato Giampiero D’Alia, è stata messa in piedi un’iniziativa politica «che va oltre la fusione dei due partiti, con una convergenza dell’area moderata». È lo stesso presidente Spacca a rimarcare infatti come «il progetto ha cambiato paradigma ed è diventato un grande progetto centrista. Ci proponiamo ancora una volta come modello da seguire per realizzare la democrazia dell’alternanza».

Nuova formula e nuovo esperimento territoriale dell’area moderata e popolare è anche quello umbro con la candidatura del sindaco di Assisi Claudio Ricci. Sebbene a Perugia e dintorni l’alleanza sia più larga e comprenda anche Fratelli d’Italia e Lega Nord (che invece nelle Marche vanno per conto loro), anche in questo caso però non si tratta di uno schema imposto dai vertici nazionali, bensì di un’iniziativa nata dal basso, dai territori.

La costituzione ormai un anno e mezzo fa del gruppo Per l’Umbria Popolare, in seno al quale è maturata la discesa in campo di Ricci, quindi la costruzione di un progetto nel quale declinare su scala regionale l’esperienza del popolarismo europeo, hanno costretto i grandi partiti a convergere su questo modello accantonando (almeno momentaneamente) le ataviche spaccature nazionali, prima fra tutte quella tra Lega Nord e Area Popolare le quali si trovano alleate a sostegno di Ricci (seppure i centristi siano presenti senza simbolo dentro le civiche). Prima che imporre nuovi partiti e sigle inventate a tavolino, forse qualcuno dei leader del centrodestra nazionale dovrebbe guardare a cosa sta accadendo tra Ancona e Perugia.


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