Le sanzioni occidentali alla Russia e la relativa impossibilità di esportare alcuni prodotti italiani nei confini della Federazione non hanno fatto troppo male all’economia della Penisola e gli effetti per il sistema bancario italiano sono impercettibili. A dirlo è la Banca d’Italia, nella sua relazione annuale presentata oggi nel corso dell’assemblea dei soci dell’Istituto centrale. A sottolinearlo è un focus contenuto nella relazione allegata alle Considerazioni finali lette dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. Le conclusioni di Palazzo Koch sembrano divergere dalle stime recenti di Sace e Ice, e pure dalle preoccupazioni espresse nelle scorse settimane da Intesa Sanpaolo e dall’ex premier Romano Prodi in diverse dichiarazioni alla stampa.
LE ORIGINI DELLA CRISI
Ma che cosa è accaduto dall’inizio della crisi ucraina ad oggi? “In risposta all’annessione della Crimea da parte della Russia – si legge nel documento di Bankitalia – l’Unione europea e gli Stati Uniti hanno adottato dal marzo del 2014 sanzioni economiche nei confronti della Russia, progressivamente rafforzate nel corso dell’anno in seguito all’intensificarsi delle tensioni politiche e militari in Ucraina. Le misure introdotte in agosto e settembre hanno limitato l’accesso ai mercati finanziari internazionali di una parte rilevante del sistema bancario russo e di alcune tra le principali società operanti nel settore energetico. È stato, inoltre, imposto un embargo alla fornitura di armamenti e di tecnologie e servizi destinati a progetti nel settore petrolifero”. In risposta, prosegue il testo, “la Russia ha imposto restrizioni all’importazione di alcuni prodotti alimentari dalla UE, dagli Stati Uniti e da altri paesi che hanno adottato sanzioni nei suoi confronti”.
LE SOFFERENZE DI MOSCA
Secondo Bankitalia “le sanzioni hanno contribuito, insieme con gli effetti della caduta delle quotazioni internazionali del petrolio, ad aumentare l’incertezza sulle prospettive dell’economia russa, accentuandone il rallentamento in atto da tempo per cause di natura strutturale.” L’Italia, che nel 2013 destinava alla Russia il 2,8 per cento delle sue vendite all’estero di beni, “lo scorso anno ha visto ridursi il valore delle esportazioni verso quel paese dell’11,6 per cento”.
POCHE CONSEGUENZE
Però, sottolinea la relazione dell’Istituto governatore da Visco, contrariamente a quanto lascerebbe pensare il legame tra le economie dei due Paesi, “gli effetti sulla crescita della nostra economia del rallentamento della domanda in Russia sono stati tuttavia modesti. Anche i riflessi sul sistema bancario italiano sono stati sinora contenuti”. Alla fine del 2014, secondo gli studi di Palazzo Koch, “l’esposizione delle nostre banche verso la Russia ammontava a circa 18 miliardi di euro, seconda solo a quella delle banche francesi; rappresentava, tuttavia, meno dell’1 per cento dell’esposizione totale del nostro sistema bancario ed era prevalentemente di natura indiretta, ascrivibile all’attività delle controllate in Russia dei gruppi bancari italiani”.
LE LAMENTELE ITALIANE
Dissentirà forse Antonio Fallico, capo di Banca Intesa Russia, che gestisce il 57% degli scambi tra Roma e Mosca. Un business non da poco, visto che nel 2013, secondo dati dell’Istituto per il commercio estero, tra il nostro Paese e la Russia ci sono stati scambi commerciali che hanno sfiorato i 30 miliardi di euro. E che ora si orientano a mercati come quelli di Cina, Sud Africa e Corea del Sud. “Da gennaio a giugno 2014 il nostro export è calato dell’8%, solo a giugno ha segnato -18%, -16,3% ad agosto”, aveva allarmato a settembre scorso Fallico, ricordando che l’Italia è il quarto partner mondiale della Federazione russa (non solo nell’agroalimentare, ma anche in molti settori industriali).
OCCHIO ALL’ENERGIA
Ma per Bankitalia, i rischi derivanti da un intensificarsi delle tensioni con la Russia “sono connessi principalmente con l’eventualità di interruzioni delle forniture di petrolio e di gas”. Ecco i numeri elaborati dall’ufficio studi di via Nazionale: “La Russia detiene una quota di circa il 12 per cento dell’offerta mondiale di petrolio e del 19 per cento di quella di gas naturale e svolge un ruolo chiave nell’approvvigionamento energetico della UE, a cui ha fornito nel 2013 il 30 per cento delle importazioni di petrolio e gas. Per la Russia, quello europeo rappresenta a sua volta il principale mercato di sbocco delle esportazioni di prodotti energetici”.
IL FRONTE ENERGETICO
La dipendenza energetica dalla Russia, prosegue il documento, “è assai eterogenea tra i paesi della Ue, risultando molto elevata per alcune economie dell’Europa centrale e settentrionale”. Per quanto riguarda l’Italia, “nel 2013 provenivano dalla Russia circa il 18 per cento delle importazioni di petrolio e il 45 di quelle di gas naturale; queste ultime transitano prevalentemente attraverso l’Ucraina” (anche se la Russia ha dato il via, proprio grazie ai contratti precedentemente stipulati con Saipem, al gasdotto Turkish Stream, che dovrebbe prendere il posto dell’ormai tramontato South Stream). “Il nostro paese è, tuttavia, – conclude la relazione – in grado di diversificare anche in tempi brevi le proprie fonti di approvvigionamento, utilizzando le infrastrutture di collegamento con i produttori dell’Europa settentrionale e del Nord Africa e intensificando gli acquisti di gas naturale liquefatto”.