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Lui, lei dentro una salopette

Quella mattina lei aveva deciso di barricarsi dentro un paio di occhiali neri enormi, di infilarsi dentro a una salopette che doveva, assieme con gli occhiali, far sparire ogni curva del suo corpo, ogni ansa del suo viso, ogni piega di quel sorriso nella quale faceva ruzzolare ogni uomo a tiro e di cui, quel giorno, non aveva voglia. Una trincea era quell’abbigliamento. Si sentiva così. Non voleva occhi da scrollarsi di dosso, quella mattina. Voleva solo perdersi nel groviglio dei vicoli nella città più vecchia e chiassosa. Tra bancarelle e cianfrusaglie. In quel disordine di cose in cui è facile sprofondare il proprio intimo caos. Era fatta così. Era una che s’incasinava, lei. Facile a farsi trascinare in virtù di quell’unico sogno che è capace di darti vertigine anche quando sei con i piedi per terra, per poi, dopo un passaggio all’inferno, con tanto di pianti e d’isteriche risate, dopo una giornata dentro la sua divisa di anonimato, quella in cui passava sotto i monumenti senza che perfino loro, obbligati a fissare ogni passante che li guarda da ogni angolazione, la notassero, rinasceva. Perfetta, bella e sorridente. Come nulla fosse stato.
Capitò proprio una mattina di quelle, in cui stava mimetizzandosi, mentre cincischiava con una borsetta che non avrebbe mai comprato, che un tale cui dovevano piacere le sfide complicate le si fece incontro. E ci volle l’artiglieria per prendere se non la posizione, per lo meno, un caffè.

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