Dopo le tensioni di domenica con i precari della scuola alla Festa dell’Unità a Bologna arriva lo sciopero nazionale di categoria del 5 maggio.
E’ il primo dopo sette anni e vedrà nelle sette manifestazioni previste ad Aosta, Milano, Roma, Cagliari, Bari, Catania e Palermo sfilare unitariamente docenti, personale tecnico amministrativo e ausiliario aderenti ai sindacati di categoria di Cgil, Cisl, Uil oltre che a Snals e Gilda.
La scuola quindi rischia, dopo quello delle riforme istituzionali, di diventare il terreno di scontro più duro per Renzi.
LE CRITICHE DI CAMUSSO
Al paradosso di un sindacato che sciopera contro una riforma che prevede assunzioni per 100.000 precari, Susanna Camusso – intervistata da Repubblica – controbatte che “il governo non è in condizioni di farle per l’inizio dell’anno”, bollando come “argomenti vecchi e strumentali” i dubbi su un sindacato che reagisce a una riforma che lo ha sostanzialmente tagliato fuori negandogli qualsiasi possibilità di concertazione. Nel merito la Camusso contesta la scelta di affidare ai singoli dirigenti scolastici “la totale discrezionalità su chi debba insegnare o meno” perché “lede il diritto costituzionale della libertà di insegnamento” e sulla ripartizione delle già scarse risorse denuncia il rischio che, attribuendole “a chi primeggia”, possano determinarsi situazioni di estrema criticità per scuole come quelle di Scampia o dello Zen di Palermo. Le ultime dichiarazioni del segretario generale della Cgil, comunque le si interpretino, rivelano l’effettivo grado di contrapposizione tra governo e parti sociali, e di fatto individuano la scuola come uno dei principali terreni di scontro.
LE PAROLE DI RENZI E LO SCIOPERO
«Indietro non si torna», perché certo, «possiamo discutere nel merito, nel ddl la Buona Scuola ci sono molte cose che si possono cambiare», ma «non lasceremo la scuola in mano a chi urla». E quindi, «continuiamo ad oltranza». Migliaia di persone in piazza in tutta Italia, scuole ferme per un giorno, sindacati riuniti tutti insieme sullo stesso palco per la prima volta dopo 7 anni: ma il premier Matteo Renzi non si spaventa. E va avanti. L’ordine di scuderia è: «approvare la Buona Scuola entro fine giugno».
LA SITUAZIONE IN PARLAMENTO
«Noi andiamo avanti», lo ripetono come un mantra, governo e deputati Pd, «siamo sereni». Ma «pronti a fare modifiche — dice la ministra delle Riforme Maria Elena Boschi —: non c’è un prendere o lasciare, né chiusura totale», certo, «se ci sarà da rinviare…, anche se il nostro obiettivo è essere operativi già da settembre di quest’anno». E Francesca Puglisi, responsabile scuola del partito: «Miglioreremo il testo, ma il nostro dovere è fare il bene della scuola e andare avanti». Perché «noi vogliamo una scuola di qualità in cui ogni studente possa avere pari possibilità di successo, non ci fermiamo». A costo di strappi e scioperi. E magari qualche passo indietro, chiosa oggi il Corriere della Sera.
MODIFICHE IN VISTA?
Passo indietro ome quello contenuto nell’articolo 2 della Buona Scuola, che ridà potere agli organi collegiali e ne toglie un po’ al preside che a questo punto non sarà da solo a decidere il piano di offerta formativa triennale, com’era previsto nel testo originario licenziato dal governo, ma dovrà sottoporlo a docenti, famiglie e studenti. C’è poi il caso delle deleghe. Il testo originario del ddl 2994 – ricorda il Corsera – affidava al governo alcune deleghe (troppe secondo sindacati e opposizioni). La discussione in commissione le ha tolte: sarà ora il Parlamento dunque a dover decidere della riforma degli organi collegiali e delle nuove tecnologie nelle scuole per la scuola digitale.
IL RENZI PENSIERO IN PILLOLE
Che la scuola sia stata sempre al centro dei pensieri del Premier è infatti innegabile. Basta sfogliare le pagine del suo libro Fuori! (Rizzoli 2011) per capire che Renzi, come egli stesso ammette, ha “un’autentica fissazione su questo punto”. Secondo lui la scuola “costituisce il luogo laico più sacro che possa esistere, lo spazio fisico e spirituale nel quale ragazze e ragazzi fanno i conti con la propria libertà. È la frontiera più suggestiva, difficile e intrigante del nostro tempo.” E pensa che “tutti, qualsiasi sia la nostra appartenenza politica, dovremmo nutrire un rispetto profondo per le stanze nelle quali i nostri figli divengono cittadini”.
LE TESI DEL SUO LIBRO
Ma la vera sintesi del pensiero politico di Renzi sul tema della scuola è forse racchiusa in un passaggio del suo libro: “Dobbiamo avere il coraggio di dire che la visione della sinistra sull’istruzione va desindacalizzata. La scuola è importante per quello che i bambini imparano, non per il numero di persone che riusciamo a cacciarvi dentro, magari senza più controllarne l’attività dopo”. E incalzando sul tema afferma che “la sinistra deve credere di più nelle parole “qualità” e “merito”. Siamo vittime di un gigantesco inganno per cui il dibattito sulla scuola è offuscato da stantii luoghi comuni. (…) Penso che se il Pd dedicasse ai temi della scuola almeno un decimo del tempo che dedica a parlare di se stesso sarebbe un partito più credibile”.
IL RUOLO DEGLI INSEGNANTI SECONDO IL ROTTAMATORE
Già nel 2011 esaltava quindi la centralità di alunni e studenti pur ammettendo che “esiste il problema del riconoscimento economico per la funzione di insegnante. È un tema che la politica non può eludere. Ma c’è qualcosa di più importante del riconoscimento economico. Del resto, se uno decide di insegnare sa che non sarà lo stipendio il valore aggiunto del proprio lavoro. Ma la possibilità di concorrere all’educazione di una libertà”. Questo approccio di Renzi ha trovato numerose conferme formali nel corso di questi anni e trova concettualmente conferma nel corso della conferenza stampa in cui il premier annunciava il disegno di Legge sul settore dichiarando che “la Buona Scuola mette al centro lo studente: cittadini da mettere a disposizione della collettività”.
I TESTI LEOPOLDINI
Ed è questo ciò che sembra emergere da una lettura delle fonti fondamentali del Renzi–pensiero che, oltre al citato libro del 2011, sono costitute dalla sua newsletter, dalle interviste rilasciate e soprattutto da documenti ufficiali come i Programmi delle Primarie del 2012 e 2013 e i documenti delle “Leopolde”. Già nelle 100 proposte della Leopolda del 2011 si legge che “è possibile creare una competizione fra una scuola e l’altra”, che bisogna “portare l’insegnamento dell’inglese ad almeno 5 ore settimanali in tutte le classi a partire dalla scuole elementari” e che occorre “restituire prestigio e reddito agli insegnanti capaci. Ossia rivedere radicalmente le modalità di reclutamento e di retribuzione degli insegnanti, sulla base di criteri legati alla competenza e al merito”.
GLI SLOGAN NELLE PRIMARIE
Concetto ribadito anche nel Programma per le Primarie 2012: uno dei passaggi obbligati per far ripartire l’Italia è “migliorare l’istruzione riportando il merito nella scuola e nell’università” perché “la scuola è il terreno sul quale si gioca il futuro del nostro Paese. Bisogna tornare ad investire, ma farlo con modalità nuove, che mettano al centro la qualità dell’educazione che diamo ai nostri figli”. E sul ruolo di quelli che qualcuno anche in questi giorni definisce presidi-manager, si affermava che “gli istituti scolastici devono godere di un’ampia autonomia, anche riguardo alla selezione del personale didattico e amministrativo, con una piena responsabilizzazione dei rispettivi vertici e il corrispondente pieno recupero da parte loro delle prerogative programmatorie e dirigenziali necessarie”.
Tra le proposte operative formulate nel Programma di Renzi per le Primarie 2012 è possibile cogliere alcune anticipazioni del disegno di legge, infatti si parlava di “una revisione complessiva delle procedure di selezione e assunzione dei docenti, basata sulle competenze specifiche e sull’effettiva capacità di insegnare” e nella “valutazione e incentivazione degli insegnanti” che si realizzerebbe “attivando in ciascun istituto scolastico un meccanismo finalizzato all’attribuzione di un premio economico annuale agli insegnanti miglio¬ri, scelti da un comitato composto dal preside, da due insegnanti eletti dagli altri (…) e da un rappresentante delle famiglie eletto dalle stesse”.
LE TESI CONGRESSUALI
Nel Documento Congressuale a sostegno della candidatura di Renzi alle Primarie di dicembre 2013 l’approccio al tema della scuola (punto 1.5) avviene partendo dall’insegnante e dalla diminuita “autorevolezza sociale” all’interno delle comunità che una volta ne riconosceva appieno il “ruolo civile”. L’insegnante era un punto di riferimento “perché sapevi che a lui o lei ogni mattina tornavi a consegnare il bene più prezioso: l’educazione alla libertà di tuo figlio. Oggi non è più così” perché “gli insegnanti sono stati sostanzialmente messi ai margini, anche dal nostro partito. Abbiamo permesso che si facessero riforme nella scuola, sulla scuola, con la scuola senza coinvolgere chi vive la scuola tutti i giorni”. E, valutando le ricadute dal punto di vista elettorale per il partito, “non si tratta solo di un autogol tattico, visto che comunque il 43% degli insegnanti vota PD. Si tratta di un errore strategico: abbiamo fatto le riforme della scuola sulla testa di chi vive la scuola, generando frustrazione e respingendo la speranza di chi voleva e poteva darci una mano”.
LO SCENARIO
Secondo alcuni osservatori, è possibile quindi cogliere, nel passaggio dalle primarie del 2012 a quelle del 2013, un Renzi più pragmatico, più attento all’elettorato tradizionale del PD, che forse anticipa alcune sostanziali correzioni di rotta di oggi rispetto al 2011, come quella riconducibile alla stabilizzazione prevista all’avvio del prossimo anno scolastico per oltre 100.000 precari senza aver attentamente valutato il reale fabbisogno in termini di profili occorrenti che porterà, come denunciato dalla Fondazione Agnelli e riportato da Formiche.net, all’applicazione di una “logica capovolta”, quella di adattare la scuola ai bisogni degli insegnanti e non viceversa.