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Tutti gli errori fiscali di Monti, Letta e Renzi

Dopo un trattamento durato un lustro, con il sempre prezioso aiuto del team di Scenari Economici, possiamo tirare le somme sull’uso fatto degli aumenti delle tasse dai tre governi che si sono susseguiti dal 2011 in poi (Monti, Letta e Renzi).

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Essi indistintamente hanno usato le maggiori tasse per aumentare la spesa pubblica corrente, per il cui sostegno sono state ridotte le spese in conto capitale e utilizzato il minor costo dell’indebitamento (vedi grafico sottostante). Lo scopo per cui le tasse sono state imposte, ossia il rispetto degli impegni europei, è lungi dall’essere stato raggiunto. Monti è stato il peggiore in tutto, Letta ha aumentato spesa primaria e Renzi ha ripreso i vecchi vizi, come dimostra il ritorno della spesa pubblica sulla linea di trend.

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Accuso quindi i Governi che il sacrificio chiesto agli italiani è stato non solo inutile, ma controproducente, una vera e propria truffa. Questa non è certo una novità, perché da tempo la professione degli economisti aveva avvertito che le tasse servono per aumentare le spese. L’indifferenza, per certi versi la soddisfazione, dell’Unione Europea verso un aggiustamento dei deficit pubblici attraverso l’imposizione fiscale aggiunge gravi responsabilità agli errori dei Trattati e alle interpretazioni che sono state date dei contenuti.

Come se non bastasse l’Italia ha inventato un meccanismo paradossale e ingiusto, voluto dai Governi con il consenso del Parlamento (che è peraltro sempre lo stesso): se le spese “sforano” i parametri europei del deficit di bilancio pubblico, scatta l’aumento dell’Iva. Abbiamo cioè approvato un meccanismo automatico della tassazione che rende facile il giochino dell’aumento delle spese e alimenta deflazione e disoccupazione. Il Governo si sbraccia nell’affermare che sta facendo di tutto per evitare un aumento dell’Iva, ma si guarda bene dall’impegnarsi per togliere l’automatismo; fa troppo comodo per finanziare i suoi scopi. Nel mentre ha annunciato l’esistenza di un tesoretto, dissoltosi (si spera) dopo la decisione della Consulta sull’illegittimità del mancato adattamento delle pensioni all’inflazione, invece di varare un decreto legge che impone il ricalcolo del dovuto sulla base delle contribuzioni, tagliando le regalie diffuse a piene mani nel passato.

Annuncia ora che si dedicherà a tutelare i poveri, ammettendo che, pur appropriandosi di circa la metà del PIL, questi non sono protetti. Penso che l’idea sia il salario minimo di cittadinanza. Verrà presentato come una grande decisione di giustizia sociale, tra il plauso delle opposizioni estreme, chiassose e inconcludenti; servirà solo ad aumentare l’assistenzialismo e le connivenze tra burocrazia e Governo, coprendo l’assenza di una politica economica che rilanci occupazione e crescita. Il collega Francesco Forte ha riferito nelle pagine del Foglio che un’indagine svolta negli Stati Uniti ha confermato che la gente minuta, l’uomo e la donna della strada, chiede opportunità di lavoro e non assistenza. Una posizione molto civile e dignitosa. Quando gli italiani lo capiranno e rivolgeranno ai Governi e all’Europa la domanda sociale corretta?

(questa analisi è tratta dal sito Scenari economici)

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