Dunque i militari europei hanno parlato; e lo hanno fatto in una circostanza di ortodossia procedurale: la pianificazione preliminare di una operazione, quale possibile opzione per la soluzione con la forza di un problema non altrimenti risolvibile.
Vediamo di esprimere qualche considerazione sul documento, originariamente riservato, che WikiLeaks ha ottenuto e ci ha consegnato tramite i suoi canali preferenziali, – ancora una volta L’Espresso -, lo scorso 25 maggio e che contiene gli intendimenti dei Capi di Stato Maggiore della Difesa europei (per noi il generale Claudio Graziano) riuniti il 12 maggio a Bruxelles al capezzale della Libia.
L’obiettivo dell’alto consesso, quello di fissare i lineamenti organizzativi per lo smantellamento, con la dissuasione e con la forza, della rete dei trafficanti di esseri umani, inclusa la distruzione dei natanti a terra e gli interventi del caso in territorio libico.
Una prima preoccupazione, non da poco, balza in evidenza quando si legge nel documento che “l’End State politico non è chiaramente definito”, che verosimilmente l’obiettivo potrà considerarsi raggiunto con lo scemare dei flussi migratori e che la durata dell’operazione, ipotizzabile in almeno un anno iniziale, può protrarsi ulteriormente con una possibile “destabilizzazione del processo politico in corso” in Libia.
In altre parole si stanno creando le premesse per ripetere gli errori del passato, quando ci si è avventurati in operazioni militari senza aver chiara la situazione finale, la “mission accomplished” insomma; non male come inizio, le lezioni apprese evidentemente non hanno avuto alcun ruolo nelle decisioni di oggi.
Il linguaggio e la terminologia del documento sono quelli canonici, sembra un documento della Nato se non fosse per il petulante richiamo all’Ue in ogni capoverso. Quello che invece sarebbe interessante capire è se, a fronte di una impostazione formalmente ortodossa di una operazione militare complessa, corrisponda una pari capacità dell’Europa di dare le giuste risposte, compreso il ricorso alla forza nelle sue varie declinazioni; tutto sommato è il debutto dell’Europa e la sorte non le ha riservato un avversario abbordabile, troppe sono le incognite e ballerine le variabili, uno scenario meno complesso sarebbe stato preferibile. E tuttavia, a prescindere dalla delicatezza del quadro e dalla più che probabile ipotesi che l’uso della forza non verrà autorizzato dall’Onu per il veto della Russia, messa nell’angolo negli ultimi tempi da chi ora chiede il suo via libera, l’integrazione della missione da parte statunitense sarà inevitabile, soltanto loro al momento sono in grado di venire a capo di operazioni militari di questo tipo, la rivoluzione libica del 2011 ne è l’ultimo probante esempio.
Poco finalizzato e condivisibile poi l’impiego su scala importante di una composita flotta di naviglio militare, a cosa serve? Il Comitato dei Capi di Stato Maggiore europei giustamente cita la normativa Onu (Solas -Safety Of Life At Sea- ed Unclos – Un Convention on the Law of the Sea) che vieta ogni comportamento che non sia quello di soccorso e di trasporto dei migranti in un luogo sicuro. E allora, si pensa forse ad una deterrenza, ad una esibizione muscolare che scoraggi la malavita?
Francamente l’effetto è poco credibile, laddove si pensi che ci si misura con una controparte informata, scaltra e senza scrupoli. Semmai esiste il rischio più concreto di un incoraggiamento a prendere il mare e questo è tra l’altro un timore che traspare nel documento di pianificazione quando viene fissata una strategia comunicativa che “dovrebbe evitare di suggerire che il focus dell’operazione è il soccorso dei migranti in mare, bensì enfatizzare che lo scopo della missione è di smantellare il traffico criminale di migranti”. Lodevole auspicio se non fosse che i dirimpettai criminali sono organizzati meglio di un qualunque ufficio stampa e quindi, consapevoli del contesto, continueranno ad utilizzare improvvisati nocchieri scelti tra i disperati per le unità piccole, pagheranno qualche delinquente di piccolo calibro per gestire natanti più grandi, senza regredire dai propositi criminali di fronte ad unità militari da loro, con buona ragione, ritenute impotenti.
Staremo a vedere, ma ancora una volta si gira intorno al senso delle cose evitando accuratamente di coglierne l’essenza: se si vuole arrestare il fenomeno migratorio altre sono le cose da fare, non le si fa semplicemente perché la pingue Europa ha smarrito le ragioni del suo essere, dei suoi principi fondanti e di fronte a tragedie che chiamano in causa i valori su cui è poggiata si rifugiano nell’ipocrisia, nell’egoismo e nelle liti da pollaio.